” -Capisco, – dissi. – Ma cosa devo fare allora?
– Danzare, – rispose. – Continuare a danzare finchè ci sarà musica. Capisci quello che ti sto dicendo? Devi danzare. Danzare senza mai fermarti. Non devi chiederti perché”.Murakami Haruki – Dance, dance, dance
Isole
Roma sembra nulla, al confronto con tante città sudamericane è piccolissima.
San Paolo ha circa venti milioni di abitanti, Città del Messico diciannove. L’area metropolitana di Rio de Janeiro conta undici milioni e tre aereoporti. Uno dei tre, quello intitolato al geniale inventore Alberto Santos Dumont, padre di aerei e dirigibili, restituisce tutta la poesia della città. E’ in pieno centro, e al decollo sembra di essere in una cartolina: davanti agli occhi, insieme, il mare, la Baìa di Guanabara, le barche, le costruzioni e le luci della città. E poi il marrone e il verde dei morros, le colline, che si fondono e si allontanano, diventando macchie di un colore solo man mano che l’aereo si alza in cielo. Jardim Primavera, invece, è un quartiere di periferia. Non è distante da Rio de Janeiro eppure non gli assomiglia neanche un po’. Quello che si vedrebbe, alzandosi in volo, non sarebbe certo lo stesso paesaggio da cartolina, ma strade squadrate, marciapiedi inaccessibili, un’enorme raffineria della Petrobrás, la compagnia petrolifera nazionale, negozi di vendita al dettaglio, chiese evangeliche, una ad ogni angolo, e singolari barricate erette in zone dove “è meglio non entrare”. Macchine, motorini e biciclette che si incrociano velocissimi, senza guardarsi. E la linea del treno, che in meno di un’ora collega il bairro alla Città Meravigliosa. Quando arriva, quando va bene, quando si è fortunati con la coincidenza, in quaranta rapidi minuti ci si ritrova immersi nel paesaggio da cartolina. Jardim Primavera non gli assomiglia neanche un po’, ma ci abbiamo vissuto, e a noi appare bello, di quella bellezza di legami e di accoglienza, di amicizie e pezzi di strada camminati insieme.
Buenos Aires, dove stiamo andando, ha 12 milioni di abitanti e la strada più larga del mondo.
Eppure a noi Roma sembra infinita, fatta di una miriade di piccole isole, isole che sembrano non comunicare tra loro. Come se i collegamenti fossero perennemente interrotti da una tempesta. La conosciamo palmo a palmo e seguitiamo a perderci. Ma poi, con un sospiro di sollievo, arriviamo sempre a destinazione.
Domenica 7 novembre 2015. Torrino. Centro Tecnico Federale della Fib (Federazione Italiana Bocce). L’evento vale la pena: i mondiali di Danza Sportiva in Carrozzina. E’ la prima volta in assoluto che la competizione viene organizzata in Italia, e noi proprio non possiamo perderla. Lo dobbiamo al nostro cuore brasiliano, i ragazzi della compagnia di danza integrata Luar Sem Limites, un gruppo di ballerini con disabilità che fanno parte del Projeto Luar.
A Roma senza limiti
All’inizio dell’anno la compagnia Luar Sem Limites è venuta in tournéé in Italia, e ha fatto tappa a Roma rappresentando gli spettacoli Olhares – A Pluralidade è Singular (Sguardi – La pluralità è singolare) e Pinoquio – Coisa de gente grande (Pinocchio – Roba da persone adulte) e partecipando al convegno SMART ABILITY – VERSO LE PARALIMPIADI DI RIO DE JANEIRO. L’evento, organizzato dal Cesc Project e dalla Cooperativa Sociale Integrata Matrioska nell’ambito del progetto Storie Paralimpiche aveva lo scopo di anticipare, a quasi due anni di distanza, le possibilità di inclusione personale, sociale, e lavorativa fornite dalle Paralimpiadi di RIO 2016. Per Alex, Arinaldo, Roberta, Jorge, Wallace e gli altri ragazzi della compagnia Sem Limites quella tournéé ha rappresentato un’occasione unica: loro, tutti alunni della Scuola Speciale Regina Celi, sono persone che molto di rado varcano i confini del loro quartiere, Jardim Primavera appunto.. Danzare, per loro, significa uscire fuori, crescere. E viaggiare.
Oggi, qualche mese dopo, i Sem Limites sono tornati a casa da un pezzo, alle nostre Paralimpiadi manca meno di un anno e noi, oltre a coltivare il sogno di vederli danzare alla cerimonia di apertura allo Stadio Maracana, ci godiamo per loro uno spettacolo che gli piacerebbe molto, senza dubbio, organizzato dalla Federazione Italiana Danza Sportiva in carrozzina e dal Comitato Italiano Paralimpico.
La danza sportiva non è disciplina paralimpica, ma è uno sport praticato in 29 paesi. Tra i fondatori, a fine anni ’60, la svedese Else Britt Larsson, lei stessa in carrozzina, che lavorava per la Federazione Disabili svedese. Proprio in Svezia il primo campionato, cui hanno partecipato 30 coppie, nel 1975 a Vasteras, e la prima competizione internazionale, nel 1977. Dal 1998 lo sport è gestito dal Comitato Paralimpico Internazionale. Si può gareggiare in gruppo – vi sono gruppi composti interamente da atleti in carrozzina e gruppi misti – in coppia – formata da due danzatori in carrozzina (DUO) o da uno in carrozzina e uno in piedi (COMBI) – o in singolo, riservata agli atleti in carrozzina.
Il senso della danza
Giulia Bonomo, di Torino, ha iniziato a ballare quando aveva 12 anni attraverso l’associazione Ballo anch’io. Il suo obiettivo è quello di declinare al meglio la sua passione, una passione che ha coltivato fin da bambina: “fin da piccola a me piaceva ballare, mi bastava sentire una musica e creavo le mie coreografie, poi quando ho incontrato l’associazione ho iniziato a fare danza sportiva e non ho smesso più”. Né intende smettere, e spera che la danza sportiva possa diventare disciplina paralimpica, per poter partecipare alle Paralimpiadi. Ha 22 anni, ed è’ al suo primo mondiale, gareggia da sola, e confessa che la principale emozione che si sente in una competizione così importante è l’ansia: “in generale però la cosa più importante è esprimere sé stessi, la gioia della danza, e soprattutto quella sensazione di libertà che ballare ti dà”.
Anche Marleen Bolwijin, danzatrice olandese esperta, che negli ultimi anni ha aperto una scuola di danza nella sua città, ritiene che la gioia sia la parte più importante di questo sport. E la cerca senza sosta in mezzo alla bellezza di questa giornata, alle coppie ansiose di andare in scena, agli abiti colorati di chiffon delle ballerine e agli impeccabili frac dei ballerini: “mi guardo intorno e mi dispiaccio, perché vedo anche tanti visi tristi, e invece secondo me è proprio questo il senso della danza. La felicità, al di là di tutto, anche oltre la disabilità. Io danzo ogni giorno da vent’anni perché quando danzo mi sento felice, e partecipo alle competizioni internazionali per rinnovare e trasmettere questa sensazione”.
Felicità e bellezza che noi troviamo da ogni parte, oggi, in questo evento storico per lo sport paralimpico e per la città eterna, che diventa ogni giorno di più la nostra città proprio quando la stiamo per lasciare, in direzione antipodi, Buenos Aires e poi Rio de Janeiro, pronti a incontrare culture e persone nuove, nuove storie, nuove emozioni.
Ci giriamo e ci allontaniamo felici, pieni, aerei, sulle note di imagine danzate dalla coppia filippina Rhea Marquez e Jun Julius Obero, che a sorpresa hanno vinto l’oro nella classe Combi Freestyle classe due. E che ci hanno fatto volare insieme a loro.