Di Diana Pintus e Cooperativa Sociale Integrata Matrioska
Noa Tomasello ha 15 anni, vive a Roma ed è il più giovane giocatore di Rugby in carrozzina dell’Associazione Sportiva Dilettantistica Ares, che è nata undici anni prima di lui e dedica le proprie risorse all’educazione e alla pratica di vari sport per atleti normodotati e con disabilità.
Spiega Stefania Tessari, la Presidentessa dell’associazione: “all’interno di Ares abbiamo questa sezione per ragazzi disabili, che giocano a rugby in carrozzina. Il rugby in carrozzina è uno dei pochi sport che possono fare ragazzi con disabilità gravi, infatti i giocatori sono generalmente tetraplegici o persone con altre gravi disabilità. Gli sport per questi ragazzi sono pochi”. Soprattutto, il rugby è l’unico sport di squadra che vi si adatta pienamente, giacché nel giocare a basket in carrozzina i tetraplegici sono penalizzati dalle maggiori difficoltà di muovere il tronco e le braccia, e dunque di palleggiare e lanciare la palla a canestro.
“Ho iniziato a giocare a Wheelchair rugby l’anno scorso” – racconta Noa, che è uno degli atleti che abbiamo incontrato nella splendida cornice di Giochi Senza Barriere 2016. “Io ho iniziato giocando a basket, prima con il Santa Lucia, e poi con il Don Orione, ma ma non capivo molto il basket. Poi ho fatto un po’ di palestra con mio padre, poi mi sono stufato e poi è arrivato il rugby. Un mio amico, Alessandro, il nostro capitano, mi ha chiamato e mi ha invitato a provare questo sport”.
Secondo Stefania “chi gioca a wheelchair rugby riesce ad aumentare considerevolmente la propria autostima, poiché è uno sport molto agonistico e di impatto, che permette di esternare la propria interiorità. Forse proprio a causa del contrasto tra le difficoltà di movimento di tutti i giorni dovute alla carrozzina e la velocità e il ritmo, la forza e il vigore del gioco”.
Essere a Giochi Senza Barriere, per Noa, significa la possibilità di vedere tutti gli sport in carrozzina “dal mio, alla bicicletta, ai ragazzi che giocano a calcio amputati dentro lo Stadio dei Marmi…”. Insomma tanta roba.
Comunque Noa, ci tiene a rimarcare, ormai il suo sport l’ha scelto: “quando sono andato a provare, su invito del mio amico, mi sono innamorato”. Quello che più gli piace del wheelchair rugby è la possibilità che ti dà di essere aggressivi, irruenti: “adoro che si possono fare i blocchi con la carrozzina, e andare addosso agli altri”.
“Abbiamo avviato questa attività da tre anni” – riprende Stefania. “Adesso abbiamo un gruppo di tredici-quattordici ragazzi, e alcuni di loro sono stati anche convocati dalla Nazionale. Recentemente abbiamo organizzato un Gran Prix Italiano con altre società italiane per creare movimento e promozione intorno a questa disciplina, perché in Italia è molto giovane, è un’attività paralimpica italiana dal 2011. Piano piano il numero delle società in Italia sta aumentando, e speriamo di avere un numero abbastanza cospicuo di società per organizzare un campionato di rugby in carrozzina nel prossimo futuro. A Roma per ora siamo noi, la prima società nata, ora ne sta sorgendo un’altra però è un lavoro molto difficile perché bisogna fare molta promozione. Ci sono tanti sport individuali e questo sport di squadra dev’essere conosciuto”.
E noi da parte nostra, ci possiamo impegnare a far conoscere sempre di più quello che è da sempre uno degli sport preferiti di Storie Paralimpiche. Cattivo, irruento, divertente, sorprendente, spettacolare!
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Anche per questa intervista dobbiamo ringraziare Pina Esposito, Marco Tofani, Andrea Pompili e ROMA – Rehabilitation & Outcome Measures Assessment, oltre a ASD Ares, Stefania e Noa.