Un’idea italiana
Il baseball per ciechi è uno sport di casa nostra.
A svilupparlo fu, negli anni novanta, un gruppo di ex giocatori di baseball della Fortitudo Montenegro di Bologna, guidati da Alfredo Meli, che per diffonderlo hanno creato l’AIBXC Onlus (Associazione Italiana Baseball per Ciechi)
La prima partita è stata giocata a Casalecchio di Reno (BO) il 16 ottobre 1994.
Noi, girovaghi per vocazione, ci stupiamo di incontrare (a Giochi Senza Barriere) uno sport nato in Italia. È la prima volta che ci succede in due anni.
Loro, gli atleti, ci giocano da più di vent’anni. Oggi esistono dieci squadre in tutta Italia (e sempre di più all’estero, ma di questo riparleremo più in là).
Alfonso Somma gioca a baseball da 12 anni (lui ne ha 44) ed è il capitano della Roma All Blinds.
“Ho scoperto questo sport a Bologna, mentre ero lì per fare un corso all’Istituto Cavazza. Parlando con i miei compagni di corso ho scoperto che esisteva il baseball per ciechi”.
Prima del baseball Alfonso praticava atletica leggera: “poi, quando sono salito per la prima volta sul diamante mi sono innamorato di questo sport. E ci ho preso gusto, un po’ perché ero preparato fisicamente grazie alla disciplina che praticavo, un po’ perché stando con questi amici per un anno ho iniziato a praticare tutti i mercoledì dopo le lezioni al campo e dopo un po’ era primavera e lo stesso Alfredo Meli mi disse che se volevo avrei potuto provare a giocare con una squadra”.
Così inizia a spostarsi regolarmente da Bologna a Milano per allenarsi e giocare con i Thunder 5, squadra milanese. Il passaggio dai Thunder 5 ai Roma All Blinds è stato lungo: “io sono di Roma. Sono tornato da Bologna e ho continuato la mia vita. La squadra di baseball per ciechi nella mia città non c’era, perciò mi allenavo con una società di atletica leggera e giocavo con il Firenze, poiché era la squadra geograficamente più vicina a me”.
Dopo due anni un ex compagno di studi, di Ravenna, ha creato una squadra che si chiama Qvinta Ravenna, qvinta perché è stata la quinta squadra creata in questo movimento: “ha racimolato un po’ tutti gli ex corsisti dell’Istituto Cavazza, e quindi per un po’ di anni ho giocato in questa squadra, in cui in realtà non c’era quasi nessuno di Ravenna, eravamo un po’ come L’Internazionale di una volta, tutti stranieri…” – scherza Alfonso. “Nel 2007 – continua – abbiamo vinto lo scudetto con questa squadra e dopo lo scudetto mi sembrava un po’ strano che a Roma non ci fosse una squadra, così con l’aiuto di un po’ di persone abbiamo proposto di creare la squadra a Roma. Così, con l’aiuto dell’associazione bolognese AIBXC ci siamo impegnati a raccogliere persone che fossero interessate a una giornata di prova, giornata che è andata molto bene e da tutte quelle persone è uscita fuori la squadra. Nel 2008 abbiamo debuttato in Coppa Italia, e nel 2013 l’abbiamo vinta”.
Esportare il made in Italy
“Nel 2013 abbiamo vinto la Coppa Italia!” – interviene fiero Romualdo Signori detto Aldo, l’allenatore dei Roma All Blinds. 76 anni, artigiano, Aldo era un allenatore di baseball per normodotati, ma quando gli hanno proposto la sfida di allenare una squadra di non vedenti non si è tirato indietro. È reduce da un viaggio molto speciale negli Stati Uniti: “stiamo andando a insegnare il baseball agli americani!” – aggiunge, scherzoso ma neanche troppo. Perché la nuova sfida del baseball per ciechi è questa, esportare all’estero un’eccellenza italiana, in particolare negli Stati Uniti, dove il baseball è uno dei maggiori sport nazionali e dove esiste una variante del baseball per giocatori non vedenti, il beepball, che però è molto lontano dallo sport originale, visto che la palla viene lanciata da un giocatore della stessa squadra del battitore, il campo da gioco è in realtà un campo in erba e non il diamante e per fare il punto il giocatore si limita a una breve corsa.
Invece il baseball per ciechi nostrano, oltre ad essere molto simile al baseball tradizionale, ci spiega Alfonso “è uno sport molto tecnico, dove viene data al giocatore la possibilità di correre completamente da solo, anche se con ausili sonori”. La palla ha dentro un sonaglio che fa rumore, una delle basi ha un segnale sonoro, mentre nelle altre sono posizionati giocatori vedenti che sbattono due palette tra di loro per segnalare al giocatore la propria posizione. “Certo – continua Alfonso – ci sono dei segnali sonori, ma poi alla fine il movimento è tuo, non sei legato alla guida, come ad esempio avviene nell’atletica leggera. Non c’è la figura del lanciatore, è il battitore stesso a lanciarsi la palla per poi colpirla con la mazza”. Perciò la fase di battuta è complicata: “Nessuno ti può aiutare a battere, mentre nella fase di difesa hai la responsabilità di tutta la squadra, e al tempo stesso ci si può aiutare tra compagni di squadra, e c’è l’emozione del rapporto con il pubblico”.
Un pubblico silenzioso, attento a non sviare chi è nel diamante, e che ci auguriamo che diventi sempre più numeroso!
Grazie ad Alfonso Somma e Romualdo Signori per la gentilezza e la pazienza.
Il solito grazie a ROMA – Rehabilitation & Outcome Measures Assessment, Andrea Pompili, Pina Esposito e Marco Tofani
ANDREA SEPULCRI says
A dire la verità abbiamo insegnato agli americani anche il basket in carrozzina. E’ stato Antonio Maglio a codificare le regole. Per favore mettete un captcha audio sul sito. Quello ottico è una barriera per i browser dedicati ai non vedenti.
Diana Pintus says
Ciao Andrea, grazie per la precisazione!!
Provvederemo al più presto a inserire il captcha audio.
Grazie!