Macinare chilometri è importante, per noi di Storie Paralimpiche, e da più di un anno viaggiamo senza sosta, incontriamo persone, collezioniamo racconti, costruiamo percorsi, ci affacciamo sulle vite degli altri, ci muoviamo agili, zaino in spalla e occhi aperti, spinti e sospinti da una visione semplice: lo sport può avvicinare e avvicinarci, può renderci simili l’uno all’altro e insieme dare valore alla nostra diversità, non ostacolo ma bene prezioso. Nell’anno trascorso a raccogliere le storie degli atleti disabili in Brasile e in Argentina abbiamo scoperto, anche inaspettatamente, alcune meraviglie del genere umano. Ci siamo specchiati nella loro capacità di costruirsi e di ricostruirsi, di mettersi alla prova, di credere fino in fondo nella loro forza, di tessere legami indissolubili con i propri compagni di squadra, di nazione, di ideali. E in questo modo ci siamo riscoperti anche noi migliori di quanto credevamo, più forti e con più risorse, sereni anche nelle fermate, a volte brusche, che la vita impone, e convinti che arriveremo al traguardo, con qualsiasi mezzo.
E tra tutti questi doni che abbiamo acquistato ascoltando le storie degli atleti paralimpici sudamericani c’è anche quello dell’ubiquità. Perché anche adesso che siamo a Roma non possiamo proprio fare a meno di sentirci anche un po’ a Toronto, dove il 7 agosto si è aperta la quinta edizione dei Giochi Parapanamericani. E dove i “nostri” atleti ci sono quasi tutti. A cominciare da Lucas Araujo, brasiliano di São Gonçalo (Niteroi), medaglia d’oro nella Boccia a squadre categoria BC1 – BC2, che proprio in questo momento sta cercando una medaglia personale nella sua categoria, la BC2, quella riservata agli atleti che possono muovere la loro carrozzina senza aiuto. Quando siamo entrati per la prima volta all’Andef, a Niteroi, il centro dove si allena, Lucas ci ha colpito subito: riservato e di poche parole ha la precisione di un chirurgo e il carattere di un fuoriclasse. È anche grazie a lui se ci siamo appassionati allo “esporte mais chato do mundo” . Lo sport più noioso del mondo, a detta di chi lo pratica, lo guarda, lo commenta per la prima volta. Tutto tranne che noioso per chi lo respira e vive: il silenzio che precede il lancio, l’attesa sul filo del rasoio, l’atmosfera di gioia, l’unione della squadra e la soddisfazione di vincere per sé stessi. Lucas è innamorato del suo sport, e lo siamo anche noi.
Intanto, sul campo da tennis l’argentino Ezequiel Casco e il cileno Robinson Mendez sono entrambi ai quarti di finale, e noi sogniamo che si ripeta la finale del Torneo Miguel Zuñiga Open 2015, anche se a mettergli i bastoni fra le ruote potrebbero pensarci i brasiliani Daniel Rodriguez e Carlos Santos, a loro volta finalisti del Niteroi Open 2015, con Santos vincitore, o il giramondo Gustavo Fernandez, l’argentino n. 4 nel ranking internazionale. Nella lunga chiacchierata al Niteroi Open Ezequiel aveva sottolineato come per lui lo sport sia la chiave del benessere “che tu non abbia le gambe o che le abbia, non importa se sia paralimpico o no”. Parlando d tennis, tifo e sogni di vittoria, dobbiamo ammettere che ci manca un po’ Flor, a Toronto. Florencia Moreno, che è rimasta a Cañuelas con un braccio rotto, di recente vicecampionessa nel singolo al Goiania Open e nel doppio al Butija Open, due tornei dove non eravamo presenti fisicamente, ma in fondo c’eravamo un po’, ubiqui, cos¡ come siamo a Toronto. Questi atleti, cos¡ come quelli della Granja Andar, l’associazione di Moreno che ci ha ospitato per una settimana, e tutti gli altri che non abbiamo avuto spazio di citare, in qualche modo rappresentano, oltre che sé stessi e il loro paese, il progetto Storie Paralimpiche, in continua crescita ed evoluzione, verso Rio 2016. O meglio, PARA RIO 2016. Perché, anche se può sembrare il contrario, non ci siamo affatto fermati. Stiamo solo riprendendo fiato, come in un intervallo tra un set e l’altro.