1 – BRASILE – CINA
Non c’è storia, nel calcio a cinque per ciechi. Il Brasile, tre volte Campione Paralimpico andrà a giocarsi la quarta medaglia d’oro su quattro Olimpiadi. In una semifinale magica e altalenante, lo stadio pieno, gli avversari, cinesi, agguerriti, il gol di Yafeng Wang che gela tutti al quattordicesimo minuto, a svoltare la partita è stato Jefinho, autore di una doppietta e trascinatore in campo.
Jefinho melhor do que o Neymar
“Jefinho meglio di Neymar”, grida il coro dagli spalti a fine partita. Lui arrossisce felice: “è chiaro che è un paragone che mi onora. Neymar è un grandissimo giocatore, e quindi vuol dire che sto facendo un buon lavoro qui. Fra l’altro Neymar ha sempre appoggiato la nostra squadra. A noi sarebbe piaciuto molto che venisse a vedere la nostra finale, sappiamo che non sarà possibile per una questione di distanza ma sentire la sua vicinanza sicuramente ci aiuterà a giocare una bella partita”.
Gol in differita
Non è stato per niente facile, confessa Jefinho: “stavamo perdendo 1 a 0 e il nostro miglior giocatore, il capitano Ricardinho si è infortunato. Abbiamo iniziato a chiederci: ce la faremo questa volta? Ma siamo stati forti”.
E a fare la differenza sono stati proprio i suoi due gol, celebrati in ritardo perchè: “era talmente bello che non riuscivo a credere di aver segnato, perciò ho aspettato la reazione del pubblico per averne la certezza!”
Un pubblico che comincia a capire quando può esplodere e quando invece no. E se per la semifinale lo stadio era già pieno domani, per la finale c’è da aspettarsi il tutto esaurito.
2 – ARGENTINA – IRAN
La finale non sarà Argentina – Brasile, come più volte avevamo pronosticato in questi giorni. I Murcielagos pagano forse un po’ di stanchezza e non riescono a chiudere la partita. I giocatori iraniani sono abili, agili, insidiosi. Il risultato è una partita inconcludente, un gioco delle occasioni perse.
La porta stregata
Gli specchi della porta, per entrambe le squadre, sembrano stregati. Ma per l’Argentina di più. Una su tutte: a metà del secondo tempo Froilàn Padilla, detto Coqui, ha il compito di tirare un rigore.
Pochi lo sanno, ma è l’occasione della sua vita. Non solo sportivamente parlando.
Una legge argentina promulgata prima delle Olimpiadi garantisce a tutti i medagliati olimpici e paralimpici di Rio 2016 una ricca pensione, a partire dai quarant’anni. E se alcuni non ne hanno poi tanto bisogno, Coqui sì.
Nueva Esperanza
Originario di Nueva Esperanza, un paesino di trecento anime della provincia di Santiago dell’Estero, Coqui Padilla viene da una famiglia poverissima. “Eravamo otto figli. Ho iniziato a giocare a calcio a cinque anni. Non avevamo la palla, però la inventavamo con calzini o borse”. Siccome lui, che aveva una retinosi pigmentaria progressiva, già ci vedeva molto poco, i fratelli facevano in modo che la palla facesse rumore, cosicchè lui la potesse trovare. A undici anni fa la sua prima visita medica, e a diciotto diventa completamente cieco. A venticinque il fratello, che vive a Casanova, gli propone di andare a Buenos Aires per cercare di migliorare la sua condizione. Si diceva che stessero dando ai disabili un certificato che gli permetteva di avere delle facilitazioni. Lui non è affatto convinto: “Nueva Esperanza è un paese talmente piccolo che per camminare non usavo nemmeno il bastone. Mi orientavo con il canto del gallo, i latrati dei cani, i suoni ripetitivi e conosciuti. Si può immaginare quante difficoltà in più ho trovato arrivando in una grande città”. Va a vivere in casa di una zia, che però fa fatica a occuparsi del nipote non vedente e lo manda via. Coqui inizia così una nuova tappa di una vita complicata, vissuta per strada, dormita sui gradini delle chiese, portata avanti con difficoltà, ma al tempo stesso con una nuova consapevolezza di sè stesso: “all’inizio avevo molta paura. Dicevo a mio fratello: come faccio ad andare in giro in una città così grande? Come so quale autobus fermare, quando arriva, come evitare il pericolo? Poi piano piano sono riuscito a raccapezzarmi. Ho iniziato a essere indipendente, mi sono iscritto a una scuola speciale e ho imparato il braille, e a usare il computer. Non avevo idea che esistesse un sistema per i ciechi”. La svolta arriva quando Coqui capita all’Istituto Roman Rosell di San Isidro, Buenos Aires, dove ricomincia a giocare a calcio. Poi la convocazione in nazionale, quando il suo tecnico di club, Martin Demonte, diventa tecnico della nazionale, lo è fino a oggi. “Ancora oggi mi prendono in giro per la mia frase tipica di quel periodo, che era: non capisco niente! Il corpo tecnico mi parlava di quadricipiti e di tattica e io non sapevo cos’era una palestra”. Nel 2011 viaggia per la prima volta in aereo, e debutta a un torneo internazionale in Spagna, proprio contro l’Italia. “In quella prima partita sono sceso in campo nervosissimo e impaurito. L’attaccante Italiano mi ha superato tipo cinque volte in due minuti e mi hanno sostituito immediatamente. L’assistente tecnico mi ha tranquillizzato, mi ha detto di giocare come se mi stessi allenando, sono entrato di nuovo, ho preso la prima palla e non ho smesso più”.
Nonostante i successi con la squadra che sono venuti da allora, Coqui non è diventato ricco. La borsa atleta mensile che riceve dall’ENARD, l’ente pubblico argentino che fornisce sostegno agli atleti paralimpici tramite le ricariche dei cellulari di tutti i cittadini, non gli basta a garantirgli ciò che più vorrebbe: riuscire a uscire dal minuscolo appartamentino di Buenos Aires, zona Constituciòn, in cui vive con la moglie e le due figlie, anche loro cieche.
La pensione che verrebbe in caso di medaglia, sì, ma la porta stregata di ieri sera minaccia di tagliarlo, ancora una volta, fuori. Dopo il suo rigore sbagliato e la fine dei tempi regolamentari l’Argentina ne sbaglia altri due. L’Iran invece li mette, e come si sente spesso dire in partite di calcio ben più danarose, nella lotteria dei rigori c’è poco da fare, vince chi ne segna di più.
E dunque la vittoria è meritata, per l’Iran, grande sorpresa di questo torneo, che si giocherà un oro difficilissimo contro il Brasile. E ingiusta appare la sconfitta dei Murcielagos, inconcludenti e sfortunati, sempre sostenuti da una cinquantina di tifosi infreddoliti, in uno stadio che si scopre improvvisamente iraniano.
La reazione degli argentini, che domani gareggeranno per il bronzo contro la Cina, è da campioni. Tutti abbracciati, in lacrime ma col sorriso sulle labbra. Non fa niente…si mormorano l’uno all’altro, a farsi forza, anche se ci speravano moltissimo, nella finale olimpica. “Abbiamo fatto del nostro meglio ma non è stato abbastanza” – conclude Silvio Velo, capitano indiscusso dei Murcielagos, unico ad andare a rete in questa serata stregata. “Sono triste, ma dobbiamo andare avanti e vincere il bronzo sabato”.
Grazie ai due giornalisti argentini vicini di posto di cui non so il nome per avermi raccontato nei dettagli questa storia bellissima e avermi permesso di condividerla. L’atmosfera di ieri in tribuna stampa testimoniava la grandezza umana dei Murcielagos. Fieri di amare questa squadra, un grandissimo in bocca al lupo al Brasile!