C’è anche un po’ di Uruguay, al Torneo Miguel Zuñiga Memorial Open. Per meglio dire, c’è tutto l’Uruguay del tennis in sedia a rotelle, giacché l’Uruguay ha, al momento, un solo tennista: Enrique Quique Rodriguez Ha quarantasette anni, è di San José, una cittadina a circa 100 chilometri dalla capitale Montevideo e gioca a tennis dal 1999.
“Da sempre lo sport è una parte molto importante della mia vita. Pratico sport agonistico da quando avevo otto anni. Ho iniziato con il ciclismo, nelle categorie infantili. Oltre al ciclismo giocavo anche a calcio, e quando avevo 16 anni ho scelto definitivamente il calcio, giacché mi è stato proposto di giocare per la piú importante squadra della mia provincia. Quando mancavano due mesi al mio diciannovesimo compleanno un virus che attacca il midollo spinale mi ha lasciato in queste condizioni. Per nove anni ho smesso di fare sport, non sapendo quale fosse lo sport che avrei potuto praticare. La verità, ci confessa Quique, è che non voleva essere costretto ad arrivare a Montevideo per fare sport: “volevo potermi allenare nella mia città. E alla fine ho trovato il sistema: un professore di tennis, Oscar Dominguez, mi invitò a praticare questa disciplina. Decisi di fare un tentativo, partecipando ad alcune lezioni di tennis, e scoprii che mi piaceva”.
All’inizio non era solo: “Quando ho iniziato, nel 1999, c’erano giá 5 giocatori, che facevano parte di un programma ufficiale che aveva l’obiettivo di sviluppare il tennis in carrozzina. Io sono arrivato dopo. Nel 2003, peró, la situazione economica dell’Uruguay precipitò, e si cancellarono tutti i tornei nazionali e internazionali che avevano luogo nel mio paese. Io sono riuscito a sostenermi economicamente per andare a giocare all’estero, e per questo sono riuscito a mantenermi in attività e con un ranking che mi permetteva di essere competitivo in Sudamerica”. Gli altri giocatori, invece, hanno smesso di giocare a tennis e sono tornati al basket, lo sport con cui avevano iniziato.
Sono giá dodici anni che Quique è l’unico tennista in sedia a rotelle uruguaiano. Che effetto fa essere unico?
“Sportivamente parlando mi è dispiaciuto partecipare a due edizioni dei giochi Parapanamericani (Rio 2007 e Guadalajara 2011) solo in singolo perché non avevo un compagno per giocare il doppio. Dall’altro lato essere l’unico atleta, in un paese dove economizzare riveste molta importanza e non ci sono mai soldi da spendere mi ha permesso di poter viaggiare in maniera relativamente semplice. A livello di sponsor, invece, essere l’unico non mi ha aiutato per niente, poiché a volte è la forza del gruppo ad avere maggior impatto”.
Secondo Rodriguez, proprio il fatto di non essere della capitale ma di una cittadina di provincia, se all’inizio ha rallentato la sua carriera ha finito poi per facilitarlo: “a San José mi conoscono tutti, e sia grazie ad alcuni amici che grazie al Comune ho ricevuto appoggio economico per partecipare a tornei in diversi paesi della regione, cosicché mi sono potuto sostenere e riesco ancora a mantenermi in attività in questo sport che mi ha conquistato il cuore. Per questo ho sempre tentato di difenderlo e rafforzarlo”. A partire dal desiderio di costruire un futuro al tennis in sedia a rotelle nel suo paese, futuro che appare difficile, giacché al momento non vi sono giovani tennisti che si stanno formando: “io ho la mia etá, 47 anni, non che stia pensando di ritirarmi ma il tempo passa rapidamente, perció devo per forza interrogarmi su cosa verrá dopo di me. Quando entro in campo penso che mi piacerebbe continuare ancora a lungo, anche se dovesse essere fuori dal campo, e mi piacerebbe avere la possibilità di allenare, o di essere parte di una delegazione, come dirigente, cosa che mi permetterebbe di mantenere i legami che ho costruito come giocatore. In realtà al momento organizzo tornei nella mia cittá, ma non con persone disabili. In maniera totalmente amatoriale, peró sto iniziando a perseguire il mio obiettivo, che è quello di creare una coscienza della competizione”.