“Disabile” è colui che non riesce a cambiare la sua vita, accettando le imposizioni delle altre persone o della società in cui vive, senza avere la coscienza che è padrone del suo destino.
“Pazzo” è chi non cerca di essere felice con quello che ha.
“Cieco” è chi non vede il suo prossimo morire di freddo, di fame, di miseria, e ha occhi solo per i suoi miseri problemi e i suoi piccoli dolori.
“Sordo” è chi non ha tempo di ascoltare lo sfogo di un amico, o l’appello di un fratello. Infatti è sempre di fretta per colpa del lavoro e della voglia di portare a casa i quattrini a fine mese.“Muto” è chi non riesce a parlare delle proprie emozioni e si nasconde dietro la maschera dell’ipocrisia
“Paralitico” è chi non riesce ad andare nella direzione di chi ha bisogno del suo aiuto.
“Diabetico” è chi non riesce a essere dolce
“Nano” è chi non sa lasciar crescere l’amore (…)
Disabilità – Mario Quintana
Vivere le Paralimpiadi è vivere in un mondo talmente a sé che tutto il resto, quando arriva, arriva lontano, ovattato, come se fosse irreale.
Perciò quando ieri sera mi arriva la notizia per bocca di un amico “il mio taxi ha dovuto cambiare strada” neanche gli do peso.
La notizia mi arriva di nuovo, come una doccia fredda, stamattina, per il mezzo attraverso cui arrivano quasi tutte le notizie da quando in Brasile non ci si fida più dei mezzi di comunicazione di massa: via social. C’è stata una sparatoria a Rio Comprido, zona Nord, dove due bande di trafficanti si stavano fronteggiando per il controllo del Morro del Turano, vari morti, passanti feriti, polizia che ha sparato. Un tassista ha registrato un audio della sparatoria, che non pubblicheremo perché non siamo in un film di guerra. Ma di guerra si tratta. Di una città che anche quando apparentemente è calma ribolle, è assediata, assedia, uccide. Di una città di estremi, uno in cui si sorride e si festeggia, si include, si gareggia, si vince, l’altro in cui si fa la guerra. Senza soluzione.
L’unica soluzione che troviamo noi, l’unica soluzione che possiamo trovare per reagire alla doccia fredda è quella di avvolgerci. Circondarci di bellezza, in un ambiente che oggi è più che mai accogliente. Ci aggrappiamo perciò a questo mondo fatto prima di persone, poi di atleti. Cerchiamo disperatamente nella folla visi amici.
Come quello di Andrea Alberto Pellegrini, che non riesce a nascondere un po’ di delusione. “Avrei voluto chiudere la carriera con una semifinale” – ci dice. 46 anni, alla sua quinta Olimpiade con la scherma, sciabolatore di lunghissima esperienza ed ex giocatore di basket, Andrea la sua gara la aspettava forse più di ogni altro, l’aveva conquistata, perduta, escluso in extremis per un cambio dei criteri di ammissione da parte dell’IWAS (lo avevamo raccontato qui) e ritrovata, riammesso in seguito alla decisione di tenere fuori la Russia dalle Paralimpiadi di Rio per doping di Stato.
Deciso a smettere dopo Rio “sì, non gareggerò più, almeno non a questi livelli” è andato in pedana con il braccio infortunato, Andrea, e si è arreso all’altissimo cinese Tian, che poi ha vinto la medaglia di bronzo: “lui è lungo, lui è troppo lungo, quindi quando colpisce io non riesco a rispondere. Poi oggi lui stava bene e io no, il punto è anche questo”. Lui stesso, mentre tira, cerca sugli spalti la sua tifoseria, bella e rumorosa.
Ai quarti è uscito ieri anche Lucas Araujo nella gara a squadre, giocatore di boccia brasiliano categoria BC2. Atleta con paralisi cerebrale, Lucas ha 22 anni, ed è alla sua prima Paralimpiade. Ha sempre detto: “la mia Paralimpiade non è questa, è Tokyo 2020”, ma nonostante questo aspetta la gara individuale con trepidazione. “L’altro ieri e ieri sono stati giorni bellissimi. Alla fine nella gara a squadre siamo usciti per un punto ai quarti contro il Portogallo, è finita 6 a 5”.
Atleta dell’ANDEF di Niteroi Lucas e la sua famiglia sono sempre stati, per noi, l’esempio più lampante di come lo sport può investire tutti gli aspetti di una persona e di chi gli sta vicino. Basta solo nominare il suo sport per far sorridere Lucas. Questa non è la sua Paralimpiade ma seguiteci domani: ci aspettiamo grandi cose.
Visi amici, abbracci, porte aperte. Questa è stata, questa abbiamo voluto che fosse, la giornata di oggi. Peraltro è stata, casualmente e magicamente una giornata di incursioni, in cui come se avessimo una bacchetta magica siamo arrivati davvero dappertutto. È stata una giornata in cui ci sono stati travestimenti, passaggi paralleli, strizzate di occhi. La domanda del giorno era sempre: “ma io posso passare, sei sicuro?” e la risposta era “certo, vai”. Non importava la destinazione. Avvolgerci. Ecco, ce l’abbiamo fatta, e siamo passati indenni. Perché, come dice sempre Mario Quintana, il poeta delle cose semplici, “l’amicizia è un’amore che non muore mai”.
Grazie ad Andrea, a Idenilza e Forçaaaa Lucasss!