Prime volte
Aveva scelto queste parole di Madre Teresa di Calcutta il presidente del Comitato Paralimpico Italiano Luca Pancalli per aprire Casa Italia nella prima Paralimpiade del Sudamerica, la prima in Brasile, la prima per Rio. In questa festa delle prime volte, casa Italia Paralimpica è stata in sè stessa una novità assoluta: non era mai successo prima che una Casa fosse in una chiesa, più precisamente la Parrocchia Imaculada Conceição, a Recreio, non lontano dal Parque Olimpico di Barra da Tijuca. Un allestimento speciale che era stato preannunciato dal CIP già nel maggio scorso, e che è stato possibile grazie a una partnership tra il CIP, il Vaticano e l’Arcidiocesi di Rio de Janeiro.
Eredità
Non solo calda e accogliente, ma solidale. Questo il progetto pensato dal CIP per Casa Italia. La scelta di entrare in una chiesa, per di più senza interromperne la vita quotidiana, ma accompagnandone le attività, è una scelta che ha molte conseguenze. Quanto risparmiato in strutture alberghiere si è trasformato in investimenti in progetti sociali che abbiano a che fare con lo sport Paralimpico, in particolare nella costruzione di impianti sportivi, alcuni anche in zone molto povere.
Un esempio su tutti la chiesa di São Geraldo in Olaria, a due passi dall’enorme agglomerato di comunità conosciuto col nome di Complexo do Alemão, che riceverà una donazione per la costruizione di due impianti per il calcio ciechi, la scherma in carrozzina, boccia paralimpica e lotta.
Ponti
João Emanuel ha sei anni, ed è nato con una malformazione agli arti superiori e inferiori. Vive con la sua famiglia ad Olaria, e alla parrocchia di São Geraldo pratica Jujitsu con il professor Marcelo: “un professore che mi piace molto, perchè non è di quei professori cattivi che passano la vita a rimproverarti. Lui un po’ ti rimprovera un po’ no…quindi ci vado molto d’accordo” – dice João Manuel, che ha appena ricevuto in regalo dalle mani di Luca Pancalli una medaglia di bronzo, nella sera di venerdì 16 settembre. Arriva a Casa Italia insieme alla madre, altri parenti e rappresentanti del progetto di São Geraldo, João Emanuel. Lo accolgono, lo invitano a mettere il suo nome vicino alla firma degli atleti:“quello è stato il momento in cui mi sono emozionato di più” – continua. Lo invitano poi a salire sul palco insieme alla squadra di scherma: Andreea Mogos, Loredana Trigilia e Bebe Vio, autrice della stoccata decisiva che ha segnato la vittoria sulle tostissime avversarie di Hong Kong. Bebe Vio che oggi, ancora più che nella gara individuale, è riuscita a toccare il cuore del pubblico brasiliano, come racconta il papà Ruggero: “tutto lo stadio era con lei, con noi, la incitava, la acclamava. All’uscita era una cosa pazzesca, la fermavano tutti, le mettevano i bambini in braccio…”
Si parlano e si capiscono con gli occhi e con la voce: Andreea, Loredana, Bebe, João Manuel.Costruiscono un ponte. Uno dei tanti che l’eredità di Casa Italia potrebbe contribuire a edificare. João torna a casa con due convinzioni: la prima cosa che fa quando scende dal palco è dire alla madre, Dona Socorro, che vuole assolutamente scaricare da internet i podcast per imparare l’italiano, e vuole diventare un atleta paralimpico, come Bebe, come le altre. Come Alex Zanardi, il suo idolo, che si è offerto, tramite la sua associazione, di pagare le protesi nel caso in cui sia possibile metterne. “Ci saranno altri esami medici da fare – racconta la zia di João Emanuel – Le sue cartelle cliniche verranno inviate in Germania per vedere se lì, grazie alla tecnologia più avanzata, si possono fare interventi che qui in Brasile non è possibile ì. Finora, qui, ci hanno sempre detto che mettere le protesi non si può, perchè il bambino non ha la testa del femore. Aspettiamo e speriamo”.
A tradurre la voce del dialogo tra João Manuel, Luca Pancalli e le atlete della scherma (gli occhi già si capivano da soli) c’eravamo noi di Storie Paralimpiche. Facendo quello che abbiamo sempre fatto e ci piacerebbe continuare a fare. Costruire ponti (tra persone, tra culture, tra lingue, tra sport).
Non è stato semplice raccontare la Paralimpiade di RIO 2016 sapendo che il progetto che stiamo portando avanti è destinato forse a non sopravviverle. Tanto più perché più vado avanti e più mi rendo conto che avremmo storie da raccontare fino a Tokyo 2020. Ce ne sono così tante di storie di sport, di inclusione sociale e di mondi che si incontrano, che potremmo riempire questa pagina forse per sempre. Speriamo che, se noi non dovessimo riuscirci, qualcun’altro si assumerà il compito di raccontarle. Per quanto ci riguarda il doppio impegno che ci sentiamo di prenderci oggi è quello di continuare a farlo più a lungo possibile, resistendo fino a che ne abbiamo le forze, e cercando fiduciosi finanziatori, patrocinatori, sponsor, amici, che possano subentrare a sostegno di questo progetto una volta che verrà meno, a dicembre, il finanziamento del programma Torno Subito della Regione Lazio. Sono benvenuti suggerimenti, idee e qualsiasi altro tipo di intervento o supporto.
Grazie a Claudio Arrigoni per le foto e per aver scelto proprio noi per superare la barriera linguistica.