Di Diana Pintus
C’è un’emozione di cui non parliamo quasi mai su questo blog: la rabbia.
Non è che non ci sia capitato di incontrarla. Fa parte della vita, dello sport, e dunque anche del nostro racconto. È che è un’emozione profonda e complessa, che raramente si esprime in forma pura. Piuttosto si manifesta sotto forma di delusione, dolore, scontento, di forza costruttiva da cui ripartire per andare oltre e ricominciare.
Un atleta da sempre
Andrea Alberto Pellegrini ha quarantasei anni, ed è uno degli atleti italiani in attività con più esperienza in assoluto.
Solo nella scherma ha quattro Paralimpiadi alle spalle, per un totale di nove medaglie, tra gare individuali e gare a squadre, di cui quattro d’argento, quattro di bronzo e una d’oro, ad Atene 2004 nella sciabola.
Dal 1992 al 2014 ha giocato a basket, nel Santa Lucia, con cui ha vinto 10 volte il campionato, 11 volte la Coppa Italia, 3 volte la Supercoppa Italiana e “di tutto di più” – come dice lui stesso. Inoltre ha fatto parte della Nazionale Italiana, con cui ha vinto 3 campionati europei.
Come atleta paralimpico ha una carriera lunga 25 anni, Andrea, e un palmares ricchissimo di risultati, riconoscimenti e onorificenze. Ma in realtà è atleta da sempre. Innamorato dello sport fin da bambino, racconta Andrea, “ho provato tutti gli sport: la kick boxing, il pugilato, il surf da onda, il calcio”.
“Fino a che poi dopo l’incidente ho pensato: bene, ora non posso fare più niente; questo non lo posso più fare, quello nemmeno…Due ragazzi che erano ricoverati con me all’ Ospedale Aurelia Hospital, Alessandro Lana e Francesco Ciogli mi hanno consigliato di andare a fare la riabilitazione al Santa Lucia, dove ho messo la protesi, e mi hanno fatto conoscere la scherma in carrozzina. Per la verità quando mi hanno detto: perché non vieni a fare scherma con noi? Io me li sono guardati con gli occhi un po’ storti e gli ho risposto: ma che mi state dicendo, che fate pure sport voi? E invece devi vedere che agonismo”.
La rabbia
Quando ci incontriamo alla stazione di Ladispoli Andrea è arrabbiato.
La prima cosa che mi dice quando saliamo in macchina, dopo essersi accertato che scrivo effettivamente per un blog che si occupa di sport paralimpico è:
“tu lo sai che io non andrò più, alle Paralimpiadi di Rio, vero?”
“no, ma come, e perché?” – rispondo di istinto, anche se in realtà sì, lo so, l’ho letto ieri di sfuggita in un articolo pubblicato dalla Federazione Italiana Scherma in cui c’è scritto:
Si rimane in attesa di una decisione in merito alla posizione di Andrea Alberto Pellegrini. La Federazione Italiana Scherma, infatti, non condividendo l’iter adottato dall’IWAS in merito alle griglie di qualificazione ed ai criteri, coi conseguenti esiti finali come dichiarati solo al termine della fase di qualificazione, ha formalmente manifestato all’IWAS ed all’Ipc, il proprio dissenso, anche per il tramite del Comitato Italiano Paralimpico, e sta esaminando l’ipotesi di presentare ricorso presso le sedi competenti.
“L’ho saputo, ma perché?” – chiedo di nuovo, comunque incredula.
E Andrea inizia a raccontare la sua rabbia, dandomi in mano i fili di una matassa difficile da sbrogliare, per lui, per gli allenatori, per la federazione, e anche per me che la scrivo.
Proviamo, insieme, a tirare quei fili ad uno ad uno, lungo tutto l’arco dell’intervista, che avviene nella sala del Centro di aggregazione giovanile Marco Patriarca, che gli è stata data dal Comune di Ladispoli tramite l’assessore alle Politiche Giovanili Stefano Fierli e Fabio Ciampa e la Dottoressa Badò dell’assessorato allo sport.
La doccia fredda
“Dal 17 al 22 maggio 2016– racconta Andrea – ci sono stati i Campionati Europei a Casale Monferrato. Tutta la Nazionale italiana ha fatto una buona prestazione. Subito dopo quell’Europeo la Federazione Italiana di Scherma ha comunicato che tutti gli otto atleti in gioco per la qualificazione a Rio 2016 erano qualificati per i Giochi Paralimpici”.
Un mese dopo, il 21 giugno, la doccia fredda:”tutti i membri della Nazionale di Scherma Paralimpica sono stati chiamati per una riunione in Federazione, alla quale erano presenti, oltre alla squadra, il Presidente e il Vicepresidente della Federazione e ii tre commissari tecnici della Nazionale. Avevano una comunicazione da darci: quattro atleti erano fuori dalla lista della qualificazione per le Olimpiadi. Degli otto atleti erano rimasti in cinque: Bebe Vio, campionessa del mondo, Marco Cima, Matteo Betti, Alessio Sarri (cui però veniva annullata la gara individuale e a squadre nel fioretto) e Emanuele Lambertini, che pur essendo molto indietro nel ranking rispetto a noi rientrava attraverso una wild card in modo da poter disputare la gara di fioretto a squadre. Gli eliminati eravamo io, Andreea Mogos e Loredana Trigilia. Alle ragazze poi è stata data una Wild Card in modo che l’Italia potesse disputare la gara di fioretto femminile, in cui fra l’altro se se la giocano bene hanno un’alta probabilità di medaglia”.
Alla fine l’unico atleta escluso, dunque, è stato Andrea.
“Ma perché?” – mi ostino a chiedere io.
“Non lo so. So solo che sono stati cambiati in corsa alcuni dei criteri di qualificazione, stabiliti dalla Federazione Internazionale (IWAS). Non si capisce il perché di questo cambiamento, anche perché prima si diceva che i primi dodici (del ranking) andavano alle olimpiadi, e io mi ritrovo che il quattordicesimo, del ranking, l’atleta greco Ntounis, si è qualificato al mio posto, io ero undicesimo, Pochevalin, il russo, dodicesimo del ranking, si ritrova fuori e gli passa avanti uno di Hong Kong, Chong, sedicesimo nel ranking”.
Secondo il Maestro Carmine Autullo, allenatore personale di Pellegrini, “l’IWAS ha tenuto conto di quegli atleti che gareggiano in due armi. Andrea in realtà fra l’altro gareggiava anche nel fioretto, solo che ultimamente ha dovuto smettere per una lesione al tunnel carpale. Hanno fatto passare avanti chi faceva due armi, pure se stava dietro di lui. La questione è molto strana, ma non è che ci sono altri motivi: è soltanto che a un certo punto la Federazione Internazionale ha deciso di usare questo metro di giudizio”.
Lo stesso giorno della nostra intervista la Federazione Italiana Scherma ha presentato ricorso all’IWAS.
Un ricorso che ha ben poche speranze di ricevere una risposta in tempo utile, tanto più una risposta positiva: “la Federazione che esaminerà il ricorso è la stessa che ha elaborato, e poi cambiato, i criteri, quindi io non credo proprio che la risposta sarà positiva” – sostiene il maestro Autullo, che allena Andrea da prima della sua prima Paralimpiade, Atlanta ‘96 . “L’ho allenato dal 1995 fino a quando non ha smesso la prima volta con la scherma, dopo Pechino 2008. E’ sempre stato un lavoro durissimo, a volte anche fino a mezzanotte, e che poi ha dato i suoi frutti perché il lavoro duro paga”. Nel 2008 Andrea aveva deciso di concentrarsi sul basket, giocare nel Santa Lucia, di cui è stato il capitano, gli dava la possibilità di allenarsi da professionista. “Poi nel 2014 ho ricominciato a praticare scherma, un po’ per scherzo un po’ per gioco, tramite il maestro Autullo”. Maestro Autullo che aggiunge: “nel frattempo però io mi ero fatto più vecchio, perché l’età avanza, e quindi è entrato in gioco un nuovo allenatore per gli assalti, Emanuele di Giosaffatte, sempre del club Scherma Ariete ’95 di Ladispoli”. È perciò iniziato un lavoro in congiunto tra Andrea, il club Scherma Ariete e L’Accademia Musumeci Greco 1878, storica accademia di scherma romana, che dal 2011 ha avviato, con il sostegno della Fondazione Terzo Pilastro, il Progetto Scherma Senza Limiti, che segue, oltre ad Andrea, più di 100 ragazzi con varie disabilità.
“Convincerli a lavorare insieme su di me non è stato facile. Io ho sempre cercato di prendere tutto quello che potevo da entrambi e ci tengo a dare a tutti il giusto ringraziamento, a partire dai miei maestri”. Oltre ad Autullo, appunto, Emanuele di Giosaffatte, e Renzo Musumeci Greco, che dichiara: “abbiamo lottato e lavorato durissimamente per due anni per conquistare la qualifica a Rio, che avevamo raggiunto ufficialmente fino a un mese fa, fino a che non è arrivato questo fulmine a ciel sereno. Per noi sarebbe stato un fiore all’occhiello portare un atleta alle Olimpiadi, come immagine, come prestigio e come gratificazione. Noi però siamo con la coscienza a posto di aver fatto tutto il possibile. Ora che la Federazione ha presentato ricorso speriamo che visto che le Paralimpiadi sono a settembre e non ad agosto ci sia il margine per ottenere una risposta in tempo utile. Positiva, speriamo”.
La speranza
Se pensa a tutta la fatica fatta, a tutti gli sforzi e ai sacrifici suoi e soprattutto delle persone che collaborano con lui, che rischiano di andare a vuoto, ha difficoltà a sperare, Andrea, pur avendo la coscienza che potrebbe essere l’unica sua arma in questo momento: “Vedere vanificato tutto il lavoro che hanno fatto i maestri è una cosa che mi fa molto male. Io ovviamente da qui alle Olimpiadi devo cercare di rimanere ad alto livello, e soprattutto concentrato. Però psicologicamente come posso stare? Già è stata fatta la lista della squadra che andrà alle Olimpiadi, e io non sono in quella lista. Come faccio a tenere duro e continuare ad allenarmi? La comunicazione della qualificazione, che mi è stata data dopo l’Europeo, mi ha consentito di avere questa sala tramite il Comune di Ladispoli. Attualmente ho la sala e sto fuori dai giochi. Gli sponsor che mi si erano affiancati, io ora come li corrispondo? Gli allenamenti che sono stati fatti, le persone che si sono messe a disposizione… Anche oggi, che sono appena tornato dalla coppa del mondo a Varsavia, abbiamo ancora un allenamento. Mancano cinquanta giorni alle Olimpiadi. Io che devo fare ad agosto? Me ne vado in vacanza o mi devo allenare? Ora l’8 di agosto c’è un altro raduno della Nazionale, e io non ci sono, perché pensano che non ci sarà una risposta positiva. Io sto cercando di fare un lavoro comunque che eventualmente mi consenta di rientrare. Fino al 9 agosto mi alleno, per tenere un ritmo, poi se ci dovesse scappare la possibilità di andare a Rio c’è ancora un altro raduno di 10 giorni dove si potrà incrementare la preparazione. Non staccare è la cosa più importante, ma non è facile, sono amareggiato”.
La fatica
Un amaro in bocca che ha il sapore della fatica.
“Dal 2014, quando ho ripreso a tirare di scherma, mi allenavo 5 volte alla settimana, continuando a lavorare, lavoro per l’Italpol e Italservizi allo sportello della Asl di Bracciano, e facendo di tutto per non trascurare la mia compagna, Claudia, e i miei due bambini, Gioele, di 9 anni, e Edoardo, di 5. Abbiamo fatto i campionati italiani e vinto qualche gara di coppa del mondo, sono stato poi riconvocato nella nazionale e mi sono rimesso in gioco. È stato difficile perché il livello è alto, gli altri atleti della nazionale hanno ormai 15, 20 anni meno di me. In più è cambiato il sistema, molti sono professionisti, adesso. Il lavoro è diverso perché c’è una preparazione diversa, un percorso per arrivare alle Olimpiadi. Io mi sono messo in gioco, però ha senso mettersi in gioco per un obiettivo, com’è Rio 2016, e quando ci sono dei criteri trasparenti”.
Anche perché, con il senno di poi, sapendo che i criteri sarebbero cambiati, sarebbe stato possibile gestire alcune gare diversamente, aggiunge. “Se io so che gli atleti in decima, undicesima e dodicesima posizione del ranking si qualificano mi comporto in un certo modo, se so che vengono esclusi mi comporto diversamente. Altrimenti per capire se si va alle Olimpiadi o no bisognerebbe avere la palla di vetro…”
La famiglia
Al di là dell’amarezza, o forse proprio per sottolinearne il senso, Andrea ci tiene moltissimo a ringraziare “tutti quelli che mi sono stati intorno, che hanno creduto in me e che credono ancora in me. Innanzitutto la mia famiglia: Claudia e i bimbi, Gioele ed Edoardo”. E poi i suoi datori di lavoro ITALPOL e ITALSERVIZI, ITOP, che gli ha fornito protesi e carrozzina da passeggio, OFF CAR per la carrozzina a gara e NEGRINI per il materiale tecnico di scherma. E poi ovviamente il già menzionato Comune di Ladispoli, per lo spazio che gli ha concesso, i club a cui appartiene (SCHERMA ARIETE 95 e ACCADEMIA MUSUMECI GRECO 1878), i suoi maestri, la Federazione Italiana Scherma, i progetti Scherma Senza Limiti e la Fondazione Terzo Pilastro Italia e Mediterraneo che hanno sostenuto economicamente il progetto VERSO RIO 2016.
Rio 2016 dove, se non dovesse arrivare, come sembra, sarebbe un duro colpo per la Nazionale italiana, che perderebbe, secondo lo stesso Andrea “Una persona che fa gruppo. Io non tiro da solo, cerco di unire il gruppo. Questa è la mia forza. Quando io sono rientrato in Nazionale la squadra non era un gruppo, erano tre” – aggiunge. “Da quando sono rientrato il gruppo si è unito di più, siamo ritornati a gareggiare per la maglia, a far parte della stessa famiglia, che è quello che siamo: mangiamo insieme, dormiamo insieme. Se ci incontriamo io e te diventa guerra, ma se non c’incontriamo io sono felice se la medaglia la vinci tu”. La sua presenza a Rio rappresenta a suo dire anche una chance di medaglia : ”è una garanzia. Dovesse essere l’unica medaglia che vincono? Non si sa mai…io speravo non dico l’oro però una medaglia sì”.
E dopo Rio, comunque finisca questa storia: “non lo so…perché il discorso non lo faccio più io ma lo fanno i CT della Nazionale. Sono ancora valido a livello agonistico per la squadra di sciabola a livello mondiale nel periodo di tempo successivo alle Olimpiadi? Questo lo devono vedere loro”. Lui comunque ha un progetto in cantiere, quello di mettere su una Polisportiva insieme al Comune di Ladispoli: “ Ladispoli è una delle città nella provincia di Roma con il più alto tasso di disabili, e mi piacerebbe dare anche a loro la possibilità di fare uno sport a livello amatoriale e poi diventare anche, magari, se nasce qualche atleta, a livello agonistico, senza doversi spostare di centinaia di chilometri. Penso a una polisportiva in cui si possano fare vari sport, a partire dalla scherma, sia in piedi che in carrozzina, tennis tavolo, sia in piedi che in carrozzina, calcio balilla, tiro con l’arco, ciclismo, handbike, insomma, cinque/sei sport che si possono fare in diverse modalità. Una struttura sportiva per il territorio, cui affiancare alcuni centri di aggregazione per fare sport-terapia. Una polisportiva creata da me e dal comune di ladispoli per la città, aggregando poi alcuni centri di aggregazione per fare sport-terapia. Si inizia così, è una terapia, un rimettersi in gioco, ricominciare a sorridere, a fare quello che non potresti più fare. Perché uno pensa, proprio come pensavo io all’inizio: ho fatto l’incidente, ormai la mia vita è cambiata, ormai sono perso. Il primo periodo è il più pericoloso”.
La forza
Non ha dubbi Andrea: “ la prima barriera ce l’abbiamo in testa: è la capacità di accettarsi. Se uno si accetta allora va incontro al futuro. Le altre barriere, quelle fisiche, gli scalini, non contano niente. La vera barriera sono i disabili e le loro famiglie. Accettarsi e accettare il proprio figlio, la condizione in cui si trova, fargli ritornare il sorriso e dargli la possibilità di condividerlo con te. Perché se lui si diverte si diverte pure il genitore. È lì dove nasce la forza. Questo è quello che vorrei insegnare ai ragazzi, la possibilità, grazie allo sport, di tornare a sorridere e di regalare sorrisi. Che è stata una possibilità che ho avuto io, dopo il mio incidente”. – conclude, e per un attimo ci dimentichiamo dell’amarezza, della rabbia e della delusione di un uomo fuori dal comune che per raccontarmi il suo incidente me lo “fa vedere”, come in un film, quando mi riaccompagna alla stazione.
“Un giorno, nel 1991, facevo il militare, e ripartivo dopo una licenza. Mia madre mi aveva accompagnato qui due ore prima, quindi non ero certo di fretta. Avevo la comitiva alla stazione e mi ero fermato a parlare con i miei amici, laggiù. Quando il treno è arrivato sono salito sul predellino e sono scivolato, come su una buccia di banana. Lo zaino è rimasto agganciato sullo scalino e il treno è partito, e io sono stato risucchiato sotto, e sono stato trascinato per 20-30 metri. Mi sono salvato grazie ai miei amici, che hanno richiamato l’attenzione del personale ferroviario che ha fermato il treno, e che mi hanno prestato i primi soccorsi, legandomi quello che restava della gamba per non fare uscire troppo sangue”. Lo ricoverano all’Ospedale Aurelia Hospital di Roma, dove lo cuciono con più di ottocento punti di sutura, e dove incontrerà i due ragazzi che gli consiglieranno, per la riabilitazione, di rivolgersi al Santa Lucia.
Il resto è storia dello Sport Paralimpico italiano. E dell’atleta che ha giocato a basket per ventidue anni e che è a un passo dal rimanere fuori dalla sua sesta Olimpiade.
Il campione di scherma che non tira da solo.
E che noi ringraziamo per averci affidato una storia difficile e indispensabile da raccontare, e la responsabilità di sperare insieme a lui che ao final tudo vai dar certo, se não dar certo quer dizer que ainda não chegou o final.
I nostri ringraziamenti di oggi li abbiamo già fatti poco più su. Ne voglio fare un altro, sempre ad Andrea, perchè non gliel’ho detto ma nel libro che mi ha dato ho ritrovato, lungo il viaggio di ritorno, un pezzo della mia famiglia che era memoria perduta nel tempo. Grazie anche per questo, quindi, e per essere stato uno degli atleti che più ha seguito il percorso attraverso cui questo racconto è stato scritto.