Una categoria spesso invisibile, trascurata, bistrattata, di qualsiasi tipo di sport si stia parlando.
Eppure senza arbitri non solo non ci sarebbe partita, ma non esisterebbe proprio lo sport.
E poi, a pensarci ci si immagina che siano delle persone rigide e noiose, e invece…
Abbiamo chiesto a Cristian Roja di raccontarsi, e di raccontarci la SUA Paralimpiade, che, assicura, è bella e ricca proprio come quella di ogni atleta.
ne vedremo delle belle!
1 – Entrare in relazione
Da qualche anno, racconta Cristian, sta prendendo piede un nuovo approccio nell’arbitraggio del basket in carrozzina. “Prima era vietato ad esempio chiamare gli allenatori per nome. Si chiamavano coach e basta. Adesso è una prassi”. Una strategia che serve a entrare in relazione con gli allenatori, e anche con i giocatori “quando possibile anche a loro ci si rivolge chiamandoli con il loro nome”. Così si costruisce una catena di rispetto, tra arbitri, allenatori, compagni di squadra e avversari.
E’ un approccio studiato e approfondito da un ramo specifico della psicologia sportiva, che punta anche a una sorta di arbitraggio preventivo: “secondo me il vero obiettivo dell’arbitro è riuscire a fischiare il meno possibile, spingendo i giocatori e gli allenatori a evitare comportamenti fallosi o scorretti”.
“Il rispetto comunque – conclude Christian – si conquista sul campo. Spesso capita che si perdoni un errore anche grande a un arbitro che si considera bravo, mentre si insiste sulla piccola svista di un arbitro alle prime armi. Il punto è anche che c’è errore ed errore. E’ chiaro che l’errore irrilevante commesso a inizio partita causa meno problemi di uno decisivo poco prima della sirena finale”.
Continua….
Grazie a Cristian, a Federica e Rosa e alle coincidenze.