Chiudere un cerchio
La corsa di Lucas Prado, velocista brasiliano cieco specialista dei 100, 200 e 400 metri è iniziata nel 2007, con i giochi parapanamericani di Rio de Janeiro. “Quale migliore occasione – ci dice – delle Paralimpiadi di Rio 2016 per chiudere un cerchio, consacrarmi di nuovo campione e coronare il mio cammino?”.
In verità Lucas, che attualmente vive nello stato di Santa Catarina, nel sud del Brasile, e si allena a Sao Paulo e Sao Caetano, aveva cominciato a praticare sport paralimpici già nella stagione 2004-2005, non molto dopo il distaccamento della retina che aveva sofferto nel 2004, in seguito al quale aveva perso la vista completamente. “Dopo aver provato una serie di terapie, ma senza successo, mi sono ritrovato completamente cieco. Un calciatore mi ha proposto di avvicinarmi al calcio a cinque, io ci ho pensato un attimo, e poi ho accettato. Ero molto curioso, anche perché non mi capacitavo di come fosse possibile sapere dove fosse la palla senza vederla, tanto è che gliel’ho domandato”.
Così Lucas inizia ad allenarsi, ma il calcio non riesce ad appassionarlo, e così decide di tentare con il goalball: “sono rimasto nel goalball fino al 2006, ma non ha funzionato neanche quello. Non sono fatto per gli sport di squadra, perché quando mi alleno prendo le cose molto seriamente, e perciò finivo a litigare con gli altri atleti perché per me non erano altrettanto seri. Allora un mio amico, che era guida di Terezinha Guilherminha, mi ha invitato a provare l’atletica. Lì sì, sono riuscito a rimanere fino a oggi. Dopo un anno sono riuscito a entrare in nazionale, battere il record brasiliano per la prima volta in sette anni. Alla prima prova mondiale, in Asia, non ho vinto nessuna medaglia nelle mie specialità, però sono tornato a casa con una medaglia nella staffetta”.
Siamo tornati al 2007, l’anno dei Giochi Parapanamericani di Rio, dove Lucas inizia a correre più di tutti gli altri. Vince tre medaglie, nei 100, 200 e 400 metri, e stabilisce il record mondiale nei 100 e nei 200. L’IPC lo elegge “cieco più veloce d’America”. “Sono stato il primo atleta cieco brasiliano a vincere questo titolo. Avevo ventidue anni, ed ero vicino a raggiungere una medaglia molto importante: quella olimpica”.
E l’anno dopo, a Pechino 2008, ne vince tre, di medaglie olimpiche, Lucas. E batte tre record mondiali: nei 100, 200 e 400 metri. Di nuovo un’impresa che lo fa entrare nella storia: “era un fatto inedito: mai nessun atleta brasiliano, paralimpico o olimpico, aveva vinto tre medaglie d’oro in queste tre modalità nella stessa Paralimpiade”.
Nel 2011 è di nuovo tripletta al mondiale IPC in Nuova Zelanda, e nei giochi parapanamericani di Guadalajara manca solo la vittoria nei 400 m, gara in cui viene squalificato.
Subito prima delle Paralimpiadi di Londra 2012 si rompe un piede: “alla fine ho vinto due medaglie d’argento, nei 400 e nei 100 m, mentre nei 200 m ho buttato per errore la mia guida fuori pista. Quello è stato un momento di grande tristezza e riflessione”. Non ama perdere, Lucas, e identifica questo come il momento più difficile della sua carriera: “mi sono infortunato, ho perso e ho perso tutti i miei sponsor. Non è stato facile tornare ad allenarmi serenamente”.
La rinascita, nel 2013, arriva ai mondiali di Lione. Dopo 7 mesi di cure a Rio de Janeiro Lucas recupera il titolo mondiale, e migliora ancora il tempo del record del mondo. Nel 2014, però, si infortuna di nuovo, e nel 2015 una lesione al bacino gli impedisce di ottenere buoni risultati ai Giochi Parapanamericani di Toronto. Arriva, di nuovo in forma, ai mondiali di Doha, ma il destino è ancora una volta implacabile, e lui si rompe un tendine. Ma non molla! “Quest’anno, dopo altri 7 mesi di trattamento, già ho recuperato il 90% della mia condizione. Sono molto fiducioso, e sono convinto che potrò fare ottime prestazioni alle Paralimpiadi. Anche perché il mio sogno è partecipare a 5 Paralimpiadi consecutive, e spero proprio di riuscirci!”.
La pulce nell’orecchio
Racconta Lucas: “prima di perdere la vista ero un bambino molto ativo, amavo tutti gli sport, anche se non ne praticavo nessuno a livello agonistico. Lo sport è stata la chiave del mio benessere, è stata la mia salvezza, in un momento in cui ero molto triste. Io credo che lo sport in sè, paralimpico o no, abbia il potere di aprirti a un mondo diverso, di farti vedere la vita sotto un’altra prospettiva”.
A motivare Lucas è stato un importante insegnamento che gli è stato trasmesso dalla sua famiglia:
“i miei genitori mi hanno sempre detto: qualsiasi cosa fai è bene che sia ben fatta. Non c’è bisogno che tu sia il migliore del mondo, ma l’importante è che tu sia differente. Ho sempre riflettuto su queste parole: non c’è bisogno di essere il migliore del mondo, ma l’importante è che tu sia differente. Qual è il senso di queste parole, mi chiedevo? Pensavo: posso riuscire a essere il migliore del mondo, ma essere il migliore del mondo e essere differente? Questo è un altro paio di maniche, no? È sempre stata la pulce nel mio orecchio: avevo il sogno di fare il record del mondo, ma sono convinto che ciò che davvero mi ha motivato è stata questa questione di valorizzare la differenza, di mostrare alla società, alle persone, ai miei amici e a tutti che il fatto di aver perso la vista non vuol dire che io non possa fare la differenza. Credo sia questo il mio punto: mostrare al mondo che ognuno di noi può fare la differenza, a partire dalla sua diversità. Che essere differenti dagli altri è importante, non solo nello sport”.
Una missione importantissima, quella che Lucas si è proposto, e per niente facile da portare avanti: tento di non sottovalutarmi, tento di fare tutto quello che le persone che vedono fanno. Ho i miei limiti, certo, ma tento di far vedere al mondo che riesco, che posso, che faccio. Questo mi motiva”. E ispira.
“C’è un ragazzo giovane, un atleta del Mato Grosso, che sta iniziando, e nella città dove abita (che poi è la mia città) diceva sempre in giro che voleva essere come me, migliore di me, addirittura. Questo secondo me è ottimo. Spetta a noi motivare i giovani ad avvicinarsi allo sport, e trasmettergli la nostra conoscenza, la nostra esperienza”.
Lui stesso, quando ha cominciato, aveva un idolo, José Armando Sayovo, Angolano, unico atleta ad aver vinto una medaglia olimpica del suo paese, il che ne ha fatto una star nazionale. Sayovo ha perso la vista saltando su una mina durante la guerra civile che ha insanguinato il suo paese, nel 1998, e la prima volta che qualcuno gli ha proposto di correre ha rifiutato pensando che lo stessero prendendo in giro. “E’ una persona semplice, un lottatore, ha affrontato molti problemi nel suo paese senza mai perdersi d’animo. Per me è stato di grande ispirazione. Quando l’ho battuto a Pechino, dopo la gara ci siamo seduti a parlare e lui – campione nelle tre specialità ad Atene 2004 – mi ha detto: proverò a riconquistare la medaglia d’oro. Questo per me è stato molto gratificante. Un professionista vero, un atleta che sa perdere, e che non confonde il momento della sconfitta con ciò che avviene fuori dalla pista…meraviglioso!”
Perché fuori dalla pista – conclude Lucas – gli piace svestire i panni della differenza e tornare ad essere normale: “tanto sono esigente, competitivo, esemplare e stakanovista nel mio lavoro, quanto sono tranquillo nella mia vita privata. Mi piace guardare film, viaggio. La mia vita è una vita fatta di momenti belli e brutti, come tutte le vite. Io sono convinto che l’importante è fare quello che amiamo.
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