Allievi
È stata una gara proprio emozionante: in semifinale stavo quasi perdendo con il risultato di dodici a sette invece poi ho ribaltato l’incontro. È stato proprio bellissimo!
Noi sapevamo che i due-tre atleti più forti non c’erano, quindi sapevamo che potevamo tranquillamente andare a medaglia, magari non di quei colori, però ce lo sentivamo che sarebbe andata bene. Sia io che Andrea il giorno prima della gara l’avevamo detto, avevamo proprio un presentimento. Anche perché escludendo gli atleti più forti noi siamo di un livello uguale se non maggiore a tutti gli altri. Quindi eravamo consapevoli che se facevamo tutto quello che avevamo provato in allenamento tornavamo a casa con un bel bottino e così è stato. È iniziato il girone e siamo stati bravi già lì, perché nel girone Andrea si è classificato primo, e io secondo, quindi potevamo scontrarci solo in finale. Ai quarti ho vinto contro un francese e sono entrato nei quattro che si giocavano le medaglie. Già così voleva dire quasi avere la medaglia in tasca, ma sapevo che poteva arrivare anche una medagliuccia di un altro colore, e mi sono scontrato in semifinale contro un cinese, uno nuovo, forte, velocissimo, giovane.
Perdevo otto a quattro, un minuto di pausa – io non ci stavo praticamente capendo niente, ogni cosa che facevo non mi riusciva, invece all’avversario ogni cosa che faceva gli riusciva. Eravamo arrivati sul risultato di 12 a 7, che nella scherma equivale ad aver perso l’incontro. È come perdere tre a zero negli ultimi minuti nel calcio: la rimonta è quasi impossibile.
Ho capovolto l’incontro, siamo andati sul 14 pari, l’ultima stoccata è stata la mia quindi sono andato in finale contro Pellegrini, e già lì per me è stata una vittoria perché è stata la mia prima medaglia individuale a livello internazionale. E sapere che mi andavo a scontrare in finale con il mio compagno, quello che mi ha fatto conoscere la scherma per me era una vittoria comunque. È stato proprio un sogno di tutti e due.
Edoardo Giordan racconta l’emozione della doppietta italiana, argento per lui e oro per Andrea Pellegrini nella gara di coppa del mondo di Scherma Paralimpica a Pisa del 12 novembre scorso.
Maestro e allievo che arrivano primo e secondo è proprio una bella soddisfazione, anche per i nostri maestri.
Maestri
Andrea ha 46 anni, esattamente il doppio di Edoardo, che ne ha 23. Si allenano entrambi nello stesso club, il club Ariete Ladispoli Scherma 95. E se Edoardo considera Andrea il suo maestro, Andrea in Edoardo vede il futuro della sciabola italiana:
Dal primo giorno che l’ho visto, io in questo ragazzo rivedevo me stesso. Ho pensato: c’ha una voglia di spaccare il mondo, perché poi è talmente ancora arrabbiato, è passato poco tempo da quando ha perso la gamba, tre anni circa. Io sono convinto che lui questa rabbia la può trasformare in potere, potere per lui e per chi lavorerà con lui. Se diventa più determinato negli allenamenti, nella preparazione, in una dieta specifica, nella vita ha un cammino enorme, dove potrà raccogliere tanti di quei risultati che nemmeno immagina. Però deve mettersi in testa che lui è un atleta professionista perché se vuoi fare i risultati, quelli veri, con una certa costanza, serve tanto lavoro. Se vuoi lavorare due armi allenarsi tre volte a settimana non basta. Agonisticamente Edoardo deve crescere ancora tanto, perché lui è esplosivo, è impressionante. Fisicamente è una bestia. Guardo lui e rivedo me quando giocavo nel Santa Lucia. Ero uguale. Però è una questione di mentalità. Io potevo fare tanti casini nella vita, ma quando entravo in palestra ero un atleta. Per essere un atleta professionista bisogna lavorare, lavorare e lavorare, perché alla fine il lavoro paga.
Il lavoro paga, come sottolineano i maestri di Andrea e Edoardo e di Alberto Serafini, terzo atleta in gara, che si è fermato ai quarti, Carmine Autullo e Emanuele di Giosaffatte, entrambi presenti a Pisa ad accompagnare i loro allievi. Dice Carmine Autullo:
I maestri sono una figura importantissima. La scherma è uno sport particolare, bellissimo ma particolare, perché anche quando uno vince le Olimpiadi ha bisogno dei maestri, e continua a andare a lezione. Noi dobbiamo fare in modo di creare e trasmettere all’atleta, specialmente agli atleti in carrozzina, il bagaglio tecnico di tutte le azioni che possono fare secondo l’avversario che trovano. Per fare questo bisogna aggiornarsi continuamente sull’evoluzione tecnica, tattica e pretattica dello sport, che è uno sport in continua evoluzione, c’è sempre da imparare. Una volta la scherma era poco movimentata, statica. La scherma scientifica, quella moderna, richiede una preparazione maggiore. Gli schermidori in carrozzina non usano le gambe, e quindi lavorano moltissimo sul tronco, quindi bisogna azionare il lavoro del tronco a seconda della velocità.
Secondo le potenzialità che ha lo schermidore, il maestro deve tirare fuori il meglio da questa persona qui. Non possiamo insegnare a tutti la stessa cosa, perché ognuno ha caratteristiche sue personali, di intelligenza, di coordinazione, di talento. Come fanno gli psicologi, un po’ di psicologia i maestri di scherma la devono conoscere, sennò non vanno da nessuna parte, cerchiamo di tirare fuori il meglio di chi abbiamo davanti, attraverso un programma di lavoro, in base al talento. Più un atleta ha talento, meno il maestro deve impegnarsi. Un maestro deve a un certo punto “leggere nel cervello” di un atleta per capire fino a che punto vince la sua timidezza. Serve anche avere un po’ di tatto, perché se un atleta sbaglia il maestro deve essere in grado di parlargli dolcemente e farlo ragionare, che l’atleta è già nervoso per aver sbagliato l’assalto, quindi non ha senso fargli molta pressione. Non è che il maestro appena scende dalla pedana lo possa rimproverare, quello è sbagliato da parte del maestro, non dell’atleta. Nel momento in cui l’atleta si calma allora il maestro può fargli notare dov’erano gli errori. Perciò il maestro dev’essere anche in questo un po’ psicologo.
E Emanuele di Giosaffatte aggiunge:
Questo risultato è quello che si è raccolto dopo le Olimpiadi. Noi abbiamo ripreso subito ad allenarci, e questa doppietta ne è la diretta conseguenza. Diciamo che in realtà questo risultato poteva venire già alle Olimpiadi, ma l’allenamento di solito non ha subito il risultato che uno si aspetta. Abbiamo raccolto dopo, si sperava di raccogliere prima invece abbiamo raccolto dopo. Rispetto alle Olimpiadi alle prove di coppa del mondo c’è meno aspettativa, quindi uno va un po’ più incosciente e può riuscire a esprimere ciò che realmente è lasciando la parte emotiva si placa un pochino di più. Un oro e un argento in coppa del mondo non è una cosa che accade tutti gli anni.
Soprattutto un oro e un argento di due atleti così:
Andrea è l’espressione massima che c’è tutt’ora secondo me della scherma paralimpica, perché è un atleta di esperienza e ha vinto tutto quello che ha vinto. Ha proprio lo spirito agonistico, e al tempo stesso la cosa più bella che ha Andrea è che non è un accentratore, un egoista. Lui vorrebbe trasmettere agli altri tutto quello che ha fatto. E ha trovato quella bella persona che è Edoardo che secondo me sarà il futuro della scherma paralimpica. Sono orgoglioso di lavorare con questi ragazzi e spero di andare più lontano possibile – conclude il Maestro Di Giosaffatte. E gli fa eco il maestro Autullo.
Andrea è più sviluppato, più furbo, più preparato, ha maggiore esperienza. Edoardo ha invece il vigore del giovane ma è anche acerbo ancora. Tra i due chi è più veloce, più scaltro è Andrea. Edoardo deve maturare, e infatti stiamo facendo un lavoro di sviluppo proprio su di lui, perché lo dobbiamo portare al livello di Andrea. A livello tattico e pretattico Andrea è molto superiore, ma Edoardo è in grande miglioramento. Lavoriamo in modo diverso con ognuno dei due per raggiungere gli stessi risultati.
Un lavoro che paga, insiste Andrea, analizzando la vittoria anche alla luce del percorso travagliato e dell’iniziale esclusione, che l’ha portato a un risultato per lui non pienamente soddisfacente alle Olimpiadi di Rio:
Io non mi sono mai fermato, era la testa che era diversa. Sapendo che non vai alle Olimpiadi non hai la testa per allenarti, e fra l’altro giustamente non ti allenano bene neanche gli altri, ti dicono: ma tanto non vai alle Olimpiadi, ma lascia stare…. C’era anche chi mi incoraggiava, i miei maestri, che mi hanno sempre detto di non mollare fino al verdetto definitivo, però…non ti riesci a concentrare in un certo modo. Invece adesso abbiamo ripreso gli allenamenti e intanto questa prova di Coppa del Mondo me la sono portata a casa, poi per la successiva vediamo che succederà e vediamo tutto il programma nuovo che si farà.
A questa gara, che era la prima prova di coppa del mondo dopo Rio, volevo andare a dimostrare che quello che era all’Olimpiade non ero io. Non c’era il peso delle Olimpiadi, di tante cose che erano state troppo negative. Tutto quel percorso è stato negativo, dalla A alla Z. Sono arrivato settimo, e penso di non essere stato da meno rispetto a tutti gli altri miei compagni. Vincere la medaglia d’oro alle Olimpiadi era molto difficile. Gli elementi che c’erano erano di un’ottima scherma, il livello era alto, e se non metti testa e livello insieme non si può fare nessun risultato. A questa prova di coppa del mondo ci sono andato con una testa diversa, ci hanno accompagnato tutti e due i maestri, mi sono portato il mio maestro anche all’ultimo raduno della Nazionale. Sapevo che a fondo pedana c’erano i miei punti di riferimento, oltre al CT Giovannini anche il maestro Autullo e il maestro Di Giosaffatte. Grazie a loro ho portato a casa il risultato, grazie al fatto che c’è un gruppo che sta lavorando con me, e con il quale cerchiamo di dare il meglio tutti insieme. L’obiettivo prossimo a livello internazionale sarà la prossima tappa di Coppa del Mondo, poi ci sarà l’Olanda, poi se non sbaglio ci sarà Varsavia, poi ci sarà Atlanta e poi ci sta di nuovo l’Italia, Pisa, e infine il Campionato del Mondo in Corea. Di obiettivi ce ne sono tanti. Bisogna vedere il nuovo CT della sciabola, che verrà nominato a breve, che cosa decide per quello che mi riguarda, e a quel punto si saprà se devo lavorare in un certo modo o se devo lavorare in maniera amatoriale e prepararmi per appendere la sciabola al chiodo.
Generazioni
Continua Andrea:
Il lavoro, la famiglia, lo sport, devo riuscire a conciliare tutto e non è per niente facile. Non ho più vent’anni che vivevo in una palestra. Oggi se non entri in un corpo delle armi non è facile. Il livello è molto alto ormai, e se non hai qualcuno che ti appoggia a livello di sponsor è difficilissimo.
Lo sport è una cosa bella, ti dà dei valori che poi puoi applicare sia nella vita che nello sport stesso. E poi mi dà la possibilità di essere sempre controllato, di mantenermi bene, gli atleti sono così, sono sempre controllati, non è che puoi fare come ti pare, ci sono delle regole e devi rispettarle. Poi certo, non è facile far coincidere tutti gli aspetti della mia vita. Per il momento ancora riesco a farlo. Nel momento in cui non riuscirò più smetterò, anche considerato che l’età avanza.
Ci sarà un’altra Olimpiade per tanti e poi arriverà un cambio di generazione, ma è giusto che sia così, lo sport è questo. Però ancora mi sento che comunque sia ho da dare, dopo l’infortunio ho recuperato e mi sento che tiro sempre meglio, che comunque riesco attualmente a fare cose che non riuscivo a far prima, dove sto aspettando ancora per fare l’intervento, sto valutando le possibilità con i medici e i tecnici. Solo che io voglio capire, dopo tutto quello che ho fatto, mi sa che per l’intervento devo fare tutto a spese mie, non lo so….vediamo come andrà a finire la cosa. Certo se mi opero adesso dovrei dire basta. L’intervento ha dei tempi di recupero molto lunghi, e poi io due armi non le riesco più a fare, se ne devo fare due male non le faccio. Il polso è mio…mi dicono “eh, ma tu fai pallacanestro”. Ma la pallacanestro è quello che mi manda avanti in tutto. Con che devo campare? Con i soldi della federazione, di un gruppo sportivo? Nel gruppo sportivo non mi ci hanno messo nemmeno quando mi ci dovevano mettere, figurati se mi ci mettono adesso….capisco che io ho 46 anni, capisco che ora c’è da dare alle nuove generazioni, nel mio piccolo se riesco a dare qualcosa bene, sennò buongiorno e buonasera. Non rinnego niente di quello che ho fatto, mi sono divertito, penso che all’Italia ho dato qualcosa: nove medaglie olimpiche, sei medaglie mondiali, tredici medaglie europee, ho vinto due Coppe del Mondo….Se vogliono che io continui a livello agonistico me lo deve dire il tecnico, se è interessato a me. È inutile fare un lavoro se poi in Nazionale non ci andrai mai.
Per quanto mi riguarda io ho delle alternative perché io ho anche un lavoro, la metà del tempo lo dedico allo sport, che è esso stesso un lavoro. Lo faccio con amore però è pur sempre un lavoro.
L’equilibrio
Un lavoro in cui ha accumulato vent’anni di esperienza, e su cui ha molto da dire, Andrea. Non solo a Edoardo, che considera il suo erede, ma a chiunque voglia diventare un atleta professionista:
Oggi le strutture ci sono. Dipende dall’atleta se vuole fare l’atleta professionista o l’atleta amatoriale, che sono due cose completamente diverse. Professionista vuol dire dedicare quasi il 100% della tua vita allo sport, e in quel caso devi cercare di fare dei risultati che ti permettono di entrare in un corpo delle armi, il che vuol dire che gran parte delle spese sono a carico dello Stato. Il livello agonistico diventa più alto e quindi fare lo sport a spese proprie non è più possibile, perché se io atleta non dovessi essere nella Nazionale e di interesse per il CT, non andrò mai a fare una coppa del mondo a spese mie, poiché le spese sono molto ingenti.
È diventato alto il livello e per stare a quei livelli devi avere una copertura, a spese proprie ormai è impossibile. Infatti se ci fai caso l’80/90 per cento degli atleti che ottengono risultati oggi appartengono a un corpo delle armi. Bisogna diventare professionisti, bisogna portare alla pari le due competizioni: olimpiche e paralimpiche. La persona dev’essere valutata un atleta, non un disabile. Si deve sentire in sé e per sé lui un atleta, e poi deve essere trattato da atleta, perché sennò torniamo sempre indietro. Bisognerebbe avvicinare, a livello paralimpico, sempre più persone allo sport, facendo anche in modo che per chi smette di fare sport vi sia la possibilità di trovare un lavoro all’interno dei corpi dello Stato. Io ad esempio ho vinto 9 medaglie, ma cosa mi è stato dato dallo Stato? Niente. Cosa mi è stato riconosciuto? Niente. Io ho fatto l’incidente mentre rientravo in caserma, in un percorso per il quale in teoria sarei dovuto essere assicurato. Non solo non mi hanno tenuto nell’esercito, ma non mi hanno riconosciuto nemmeno la causa di servizio. A me lo Stato è stato il primo a girarmi le spalle invece di affiancarmi. Però grazie allo sport riesco ancora a divertirmi, a camminare a testa alta.
Se non ci fosse stato lo sport che ne sai? Non è facile la vita quando esci da un incidente a vent’anni. Poi è chiaro che piano piano poi te la costruisci da solo. Io devo ringraziare anche la mia compagna, cui piace quello che faccio e continuo a farlo, perché non è facile conciliare la vita sportiva con quella privata. Se hai una persona che ti sta a fianco e ti sostiene ci riesci, altrimenti le cose si logorano e alla lunga non funzionano. Grazie a lei ho avuto due bambini, Gioele e Edoardo, andiamo avanti. Poi certo le discussioni ci sono in tutte le famiglie, ma avere un equilibrio nel mondo di oggi è fondamentale, perché c’è tanto, puoi avere tanto, e ognuno può cambiare come vuole, e cercare di tenere sempre un equilibrio non è più facile. Vent’anni fa c’erano meno cose e gli davi più valore. Adesso ci sono talmente tante cose che magari ce n’hai una buona e la scarti pure, capito? Dici vabbè…ma tanto io posso scegliere anche questo: se va male questo ho anche quest’altro…invece prima se ti capitava una cosa la valutavi meglio, no? Ritornando a capo di tutto se vuoi fare l’atleta e ambire a dei risultati devi cercare di essere professionista, devi essere te persona. Innanzitutto devi guardarti allo specchio e dire ok, sono un atleta, ho degli obiettivi, li voglio raggiungere, devo lavorare sodo.
Noi ora abbiamo un programma e abbiamo un club in cui tutti lavorano per la stessa bandiera, tutti lavoriamo dalla stessa parte, lavoriamo con un criterio per arrivare a degli obiettivi.
A livello di nazionale, la squadra di sciabola è di nuovo forte. Alessio Sarri è un atleta di alto spessore, su 10 gare 7 volte ha fatto medaglia. È un atleta che ha sempre fatto dei risultati eccellenti, ha sbagliato l’olimpiade, ma sono sicuro che ancora può dire la sua per qualche anno. Edoardo sta crescendo, io sono ancora a un buon livello. Individualmente abbiamo un certo spessore, in squadra ce ne abbiamo di più. Oh, al mondiale passato abbiamo fatto argento!
La squadra
Un argento che ha coinciso con l’esordio internazionale di Edoardo, che racconta:
Anche quella è stata davvero una gara magica. Nelle gare a squadre hai un altro tipo di emozioni perché la gioia è condivisa da tre persone più il CT, e se magari tu quel giorno tiri male c’è il compagno di squadra che può tirare meglio per te e può anche ribaltare il risultato.
In ogni caso per Edoardo è fondamentale avere persone che lo sostengano durante le gare.
Essendo, per così dire, nuovo, ho solo un anno e mezzo di scherma alle spalle, non sono abituato a tutta quella tensione, a averci tutti quegli occhi addosso…quindi magari l’incitamento della squadra, della gente, ti dà quella marcia in più, ti aiuta a sciogliere lo stress. Perché io poi lo ammetto, io prima di una gara ho proprio l’ansia da prestazione. Anche nella gara di Pisa avere i compagni intorno che mi incitavano, che poi magari erano gli stessi che io avevo sostenuto alle Olimpiadi, che ora stavano facendo lo stesso per me. È stato bellissimo.
Sì, perché anche Edoardo era a Rio:
Ho deciso di andare per due ragioni. La prima sostenere i miei compagni, perché è da un anno che mi alleno con loro e so che comunque l’Olimpiade è una gara unica nel suo genere, volevo proprio vedere e respirare le loro tensioni, e vedere come sapevano reagire in un evento di questo tipo. Una cosa che raccontavo anche agli altri è che io provavo le stesse emozioni dell’atleta che stava combattendo. Ad esempio quando i nostri compagni hanno perso mi sono messo quasi a piangere, ero proprio emozionato. Sentivo proprio che avevo fatto bene ad andare lì per dargli una mano e se poteva servire a mettere qualche stoccata in più io ero felicissimo di essere là per dare questa possibilità.
Poi c’è un secondo motivo, personale: volevo vedere a cosa potevo ambire. Cioè, se io mi continuo a allenare seriamente, se metto la testa a posto posso ambire anche a quello, perciò volevo un po’ vedere com’era il palcoscenico ad alti livelli. Penso proprio che la strategia abbia funzionato, perché quando sono tornato da Rio c’era gente che diceva: “vabbè, adesso mi riposo”, “mi prendo due settimane di vacanza”, “mi rilasso” ecc. e io invece sono andato subito in palestra, ho integrato la scheda con il preparatore. Mi sono dato da fare, e credo che l’argento in Coppa del mondo sia anche un po’ dovuto a questo.
Adesso sento che per me sta cominciando una nuova fase nella scherma, perché all’inizio avevo anche altre cose a cui pensare, come le protesi, perché con queste protesi in Italia è un macello perché non ti passano niente e ho dovuto fare un sacco di riabilitazione. Ho perso parecchi mesi in cui non potevo fare altro che stare dentro al centro a reimparare a deambulare decentemente, poi ho dovuto perdere tempo per la macchina, tutta la procedura per la patente ecc. poi mi sono dovuto riscrivere a scuola, perché avevo interrotto gli studi a fine del quarto e ancora non avevo preso la maturità, quindi prima ho pensato un po’ a risistemare la vita e poi ho iniziato ad allenarmi costantemente. Quando ho trovato un equilibrio nella vita, quando potevo essere autonomo, anche con la macchina, quando avevo tutti gli orari ben definiti ho iniziato ad allenarmi serenamente senza pensare troppo alle questioni pratiche di vita quotidiana. Ritornando autonomo mi sono dedicato esclusivamente alla scherma.
Colpo di fulmine
Scherma che forse non avrebbe mai incrociato la vita di Edoardo se non fosse stato per l’incontro con Andrea:
Ho conosciuto Andrea al centro di riabilitazione del Santa Lucia, subito dopo aver perso la gamba. Ho sentito delle voci dal piano di sotto, la palestra stava nel seminterrato. Mi sono incuriosito e mi sono ritrovato davanti la squadra di basket, dove giocava anche Andrea. L’ho visto e c’è stato come un colpo di fulmine: lui mi ha guardato e io sono andato subito verso di lui e gli ho chiesto “ma com’è lo sport paralimpico?
Per me era tutto un mondo nuovo. Io lo sport paralimpico lo seguo solo da quando sono diventato disabile, prima non lo seguivo proprio, te lo dico sinceramente. E adesso vedevo loro che si ribaltavano con la carrozzina e in un secondo si rimettevano in piedi è stato proprio emozionante. Mi ha dato la spinta a cercare di fare sport paralimpico. Ho iniziato col basket, al Santa Lucia appunto, però io ero appena arrivato e loro facevano gare importanti quindi io non riuscivo a trovare il mio spazio, mi mettevano in un angolo a far rimbalzare il pallone contro il muro quindi mi sentivo proprio emarginato, gli dicevo “vabbè, ma che vi devo spostare il muro? Chiamate i muratori!” e ho detto: “no, non voglio continuare così”. Poi avendo conosciuto Andrea mi ha detto: “se vuoi ti faccio conoscere un altro sport”. Quando sono uscito dalla riabilitazione l’ho subito contattato, sono andato a provare la scherma e non l’ho più mollata. Mi è subito piaciuta. Poi ho la fortuna che io abito a Torrimpietra lui a Cerveteri, quindi non siamo molto distanti. Sono stato fortunato perché quando ho cominciato a fare scherma mi passava a prendere e andavamo agli allenamenti, io non avevo la macchina, e anche questa è stata una cosa importante, perché sennò non so se avrei cominciato, non avevo proprio i mezzi per farlo.
La mia fortuna perciò, te lo ripeto, è stata conoscere Andrea Pellegrini.
Con Andrea ho un rapporto davvero speciale, perché lui è stato la persona che più mi ha aiutato, a parte con la scherma, a rimettermi proprio a livello mentale, perché comunque perdere la gamba a vent’anni non è facile. A lui è successa la stessa cosa quando aveva vent’anni e più o meno facevamo lo stesso tipo di vita e quindi mi ha motivato. Io credo che gli ho raccontato tutta la mia vita, qualsiasi cosa pensavo di lui gliela dicevo, non c’è qualcosa che non gli ho mai detto. Lo ringrazio ogni giorno, ma questo penso che lui lo sappia.
Grazie ad Andrea e Edoardo, Carmine Autullo e Emanuele di Giosaffatte per l’infinita pazienza tecnologica, per la voglia di raccontare e per avermi regalato con tanta generosità e con amore un racconto a cui non c’è stato bisogno di aggiungere quasi niente.