Di Marina Matteucci
Amici del Back door, eccoci tornati con la seconda puntata di Basket dalle retrovie. La nostra seconda avventura fuori dal parquet non si sposta tanto lontano da casa. Anzi è proprio casa. La palestra che frequenti tutti i giorni da istruttore, quella che è come se ci vivessi. Entri e appena sei lì, piccoli cuccioli di uomo sfrecciano proprio accanto ai tuoi piedi. “Maestra, giochiamo?” “Ciao maestra” “Ciao cuccioli….E non chiamatemi maestra!” Anche se al loro passaggio hai rischiato di cadere in mille modi diversi, non puoi fare a meno di sorridere e amarli quei ragnetti a due zampe.
Quando l’ istruttore è un modello.
Vi chiederete: cosa c’entra questo con il nostro back door, con le storie di straordinaria quotidianità? Io invece dico: quali storie sono più straordinarie di queste? Chiedetelo a un istruttore minibasket. Ognuno ha la sua storia straordinaria, che il basket ha saputo raccontare, semplicemente con una palla, un canestro e tutto quello che c’è in mezzo. Io vi racconto la mia e quelle che ho avuto la fortuna di conoscere.
Ogni volta che entri in palestra da istruttore (che sia minibasket o altro poco importa) diventi una pedina fondamentale nella vita dei bambini che incontri. Loro ti guardano, loro ti seguono. Sei un modello. E questo comporta molte responsabilità. Tra le tante, riuscire a vederli uno ad uno, entrando nei loro piccoli mondi, ascoltando a orecchie e occhi aperti. Nella mia esperienza, avere occhi e orecchie aperte significa vedere dei mondi confusi, spesso persi in difficoltà ignorate, che si crescono un po’ da soli. Gli istruttori ne incontrano tanti di bambini come questi. La pallacanestro li salva. Perché impone regole, insegna a stare con gli altri, a tollerare il tempo e la frustrazione. A conoscere il proprio corpo e a saperlo usare. Ad esplorare capacità e farle diventare competenze. E fa tutto questo con un gioco che, credo di avervelo già accennato, è il più bello del mondo.
Vi presento il mio amico Piè veloci.
Perciò oggi vi parlo di un mio “amico”, il mio amico Piè veloci. Piè veloci non riesce mai a stare fermo. Non ha amici. “Sbatte sempre i piedi, maestra”, “ A scuola dice solo bugie”, “Maestra, è prepotente”. In realtà, il mio “amico” non ha mai avuto regole, quindi non sa rispettare i turni. Non tollera il silenzio, né la calma, né tantomeno l’attesa dell’ascoltare, perché lui si vorrebbe muovere sempre. “Guardami negli occhi.” Neanche ho detto una parola che i suoi occhi guardano in alto a destra, proprio sopra la mia testa. E allora ci riprovo, ma quella cosa in altro a destra deve essere davvero tanto interessante perché i suoi occhi finiscono sempre lì. Entrato le prime volte in palestra, Piè veloci tocca la palla e salta via come un grillo e a volte la palla se la dimentica lì dov’è, tanto lui va senza meta. Poi, piano piano, comincia a fare gli esercizi. Si impegna molto, si impegna anche se gli esercizi sono su una metà campo e l’altra è tutta libera. Che spreco di spazio. Ma lui fa gli esercizi per un po’ e ogni giorno sempre per un po’ di più, finché arriva a farli per lo stesso tempo dei compagni. Adesso Piè veloci tollera le file, aspetta il suo turno e incita i compagni. Sgambetta ancora Piè veloci, ma lo fa al suo posto. Il canestro lo emoziona molto e qualche volta gli capita di andare talmente veloce da non fermarsi in tempo. Ma recupera sempre, si mette di fronte a quel cerchio arancione e tira più in alto che può, con tutta la sua forza. Piano piano impara anche non tirarsela sopra la testa, la palla, e fa canestro il mio “amico”. I compagni adesso vogliono giocare con lui. Li vedo correre fuori dalla palestra mentre scherzano insieme.
Di storie come quella del mio “amico” piè veloci ce ne saranno un milione, ma per me è una storia straordinaria. Come lo è quella di un’altra “amica”, che con la sindrome di Down tira a canestro in spiaggia, anche se è freddo e il canestro è troppo alto per una bimba di sei anni. E quella di un altro “amico” che a dieci anni impara a tirare ad un angolo della palestra con la sua sedia a due ruote. E ancora quella di un “amico” a cui sembra non piacciano molto le persone, ma gli piace la palla e con quella riesce finalmente a vedere anche gli altri. Di queste e di molte altre storie non sentirete mai parlare, perché stanno dentro a piccole palestre, nella nostra quotidianità. Credete ancora che non siano straordinarie?
Al prossimo back door,
Marina