Siamo fatti delle persone che incontriamo sul nostro cammino, l’abbiamo detto tante volte.
Senza la collaborazione e il sostegno di ognuna di queste persone sarebbe impossibile essere in tanti posti allo stesso tempo.
Grazie dunque a Nicolo Gelao, responsabile della comunicazione del Centro Universitario Sportivo dell’Universita degli Studi di Milano, a Martina Caironi (sempre) e a Alessia Berra, a Davide Maiorella che ha scritto l’articolo e a Claudio Ciaccio per le foto. Loro hanno portato un po’ di Storie Paralimpiche a Milano e noi portiamo un po’ di Milano su Storie Paralimpiche.
Di Davide Maiorella
Si è tenuta il 13 dicembre presso l’Aula Magna “Luigi Mangiagalli“ dell’Università degli Studi di Milano la cerimonia di premiazione degli atleti che hanno preso parte ai CMU (campionati milanesi universitari) e CNU (campionati nazionali universitari).
A dare lustro all’evento, oltre alla cornice di prestigio anche la presenza istituzionale di atleti volati in Brasile per partecipare alle ultime Olimpiadi e Paralimpiadi di Rio, tutti rigorosamente immatricolati, e possessori del libretto universitario marchiato Statale. Martina Caironi, studentessa di Mediazione linguistica, e Alessia Berra, allieva di scienze motorie, hanno accolto volentieri l’invito dell’ Ateneo presenziando in prima fila e offrendo qualche retroscena e aneddoto interessante della loro avventura a cinque cerchi.
Martina Caironi non ha bisogno certo di presentazioni. Alfiere del comitato paralimpico italiano, nonché portabandiera a Rio, è ritornata nel Bel Paese con un argento nel salto in lungo, e un altro oro nel carniere della specialità dove è dominatrice incontrastata da ormai cinque anni, ovvero i 100 metri piani.
“L’incremento dell’attenzione verso le categorie paralimpiche che si è avuto dopo Londra e Rio – afferma Martina è stata la conferma della passione e dell’attaccamento degli italiani all’evento, anche grazie alla capillare copertura mediatica”. La finale della competizione regina dell’atletica ha regalato palpitazioni, tensione, quasi sospensione dell’anima a chiunque fosse stato sintonizzato con l’evento. La tedesca Vanessa Low ha rosicchiato il gap con Martina, rallentata dalla protesi instabile, fino ad insidiare la freccia tricolore a pochi metri dal traguardo. “In prossimità dell’arrivo vedevo la possibilità di scaricare questo macigno che avevo, e il raggiungimento dell’obiettivo che avrebbe innescato conseguenze solamente positive. La cosa frizzante dell’atletica è che ogni gara è un evento a sé, imprevedibile.” Dalle Paralimpiadi britanniche a quelle brasiliane sono trascorsi quattro anni ma il risultato è rimasto invariato, è stato il metallo più prezioso a consacrarla in entrambe le manifestazioni. Ma qualcosa è cambiato per Martina:“Sono mutate le frequenze e la dedizione degli allenamenti, la serietà con con cui affronto ogni singola sessione, sono cambiate i metodi e le protesi. Ho capito davvero cosa significasse essere un’atleta a tutti gli effetti, osservare dei precisi regimi, a desiderare di allenarmi, e soffrire nel caso non lo potessi fare”. Il peso più destabilizzante poteva essere quello del tricolore, sventolato orgogliosamente, che comportava una serie di pressioni e responsabilità: “Tutti mi ricordavano l’importanza dell’evento e del ruolo che io stavo per ricoprire, tutti si aspettavano una grande prestazione, la sicurezza che io vincessi, e in effetti li ho rassicurati. La prossima tappa sono i Mondiali che si svolgeranno a Londra a luglio“.
Ad affiancarla, con il viso pulito e candido di un’adolescente, la sua collega Alessia Berra, ventiduenne brianzola, ipovedente e nuotatrice per la società Pohla Varese. Dietro il suo sbarco presso la FINP si cela una storia particolare, dove la casualità e gli eventi fortuiti fanno il loro corso. Alessia è forte di un 6° posto conquistato a Rio nei 100 metri farfalla. “Ho trovato la giusta strategia di gara, ho cercato di razionalizzare le emozioni forti che ti assalgono quando sei in pedana, che sia un allenamento o una prestazione ufficiale, trasformando in vibrazioni positive la volontà di fare bene. Ero completamente all’oscuro degli sport paralimpici, questo universo che per me era sommerso. Tutto nasce dalla bisogno di un videoingranditore, necessario a studiare, per il quale mi reco alla fiera della tecnologia qui a Milano. Tra i vari stand spunta quello del CIP (comitato italiano paralimpico), e il caso si sposava bene con la mia volontà, nel periodo in cui avevo lasciato il nuoto, di intraprendere un percorso di istruttrice per disabili. Sfortunatamente lo stand era vuoto e mi sono rivolta al web per cercare contatti, anche li senza ricevere risposta. L’Università mi ha aiutato molto in questo, fornendomi i giusti indirizzi e contatti fino ad arrivare alla figura di Massimiliano Tosin che mi ha letteralmente buttato in acqua”. Massimiliano Tosin oltre ad essere il delegato regionale FINP Lombardia è anche l’attuale allenatore di Alessia. La nuotatrice azzurra è affetta dalla malattia di Stargardt, sindrome che ha manifestato i suoi primi segnali quando Alessia aveva nove anni.“Mi sono accorta fin da subito di perdere la vista in maniera progressiva e anche abbastanza rapidamente, fino alla scoperta della malattia. Per me ormai è diventata la completa normalità. Nella vita ho sempre cercato di scavalcare il mio problema facendo cose che magari mi erano proibite dalla patologia, mentre poi ti ritrovi in un mondo dove il tuo deficit non è un fardello ma il motivo di nuovi stimoli. Non c’è uno stato di abbattimento ma sempre la voglia di aggirare gli ostacoli“.